
Di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani
La fotografia scattata dall’ edizione 2010 del dossier “ecosistema a rischio” è impietosa: l’82% dei comuni italiani è ubicato in aree ad alta criticità idrogeologica. Subito dopo i fatti di Giampileri, Barbara Spinelli dalle pagine de La Stampa scriveva di una dilagante illegalità “che uccide l’Italia politica e anche quella fisica”. Difficile darle torto, e del resto nel nostro j’accuse, intitolato “La peste italiana”, in cui raccontiamo del sessantennale tradimento del dettato costituzionale, di un paese che è stritolato e oppresso dall’assenza di Stato di diritto, legalità, democrazia, c’è un capitolo dedicato al dissesto idrogeologico.
L’Agenzia europea per l’ambiente ha documentato un progressivo aumento delle catastrofi naturali in Italia. Oggi, il 38% delle vittime di alluvioni in Europa sono italiane.
Nel settembre del 2000, la piena del torrente Beltrame spazzò via il camping le Giare nei pressi di Soverato. Morirono 13 persone e tra questi alcuni disabili. Tutte vittime di chi, ritenendo di poter confidare su grandezze statistiche, aveva consentito di ubicare il camping nell’alveo del torrente. Non vittime del maltempo, ma di una poco oculata gestione del territorio, vittime della malapolitica.
Messina, Genova, Sarno, Soverato, il Vajont, tutte tragedie attribuibili a quel dissesto idrogeologico, figlio del dissesto ideologico, di cui parla il leader Radicale Marco Pannella.
Sempre dopo i fatti di Giampileri, Mario Tozzi scriveva: “E’ proprio un paese bizzarro l’Italia, pensate che d’autunno piove, qualche volta a lungo, i fiumi straripano e le tempeste mangiano le spiagge. E pensate che, se avete costruito nel letto di un fiume, ci sono buone probabilità che la vostra casa venga spazzata via per colpa delle alluvioni.”
Mentre continuano le ricerche di coloro che sono stati inghiottiti dal fango a Matera, dovremmo interrogarci su una mancata prevenzione che oggi ci presenta nuovamente un conto salatissimo in termini di vite spezzate e di centinaia di milioni di euro di danni.
Maltempo killer? No, il killer è la malapolitica, la speculazione, la cementificazione, l’eccessivo consumo di suolo, l’urbanizzazione diffusa e caotica, l’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi, la cementificazione degli alvei, il disboscamento dei versanti collinari e montuosi, in una parola la dissennata gestione del territorio fatta dagli enti locali.
Nel bel paese ci sono 6633 comuni su 8092 ubicati in aree ad alta criticità idrogeologica. In Basilicata, Calabria, Molise, Umbria e Valle d’Aosta registriamo il cento per cento di comuni a rischio. C’è un intero territorio da mettere in sicurezza, eppure si continua a costruire nella fascia di pertinenza fluviale dei fiumi, come nel caso del villaggio Marinagri in quel di Policoro. Si confida sui tempi di ritorno o forse ci si affida alla buona sorte.
E se parliamo di Basilicata gioverà forse ricordare quanto avvenuto a Senise, dove nel 1986 una frana causò la morte di 8 persone e la distruzione di decine di case. Negli anni successivi sono stati spesi 32 miliardi delle vecchie lire, di cui 26 per opere di consolidamento. C’era chi aveva avvertito del rischio restando inascoltato e magari, chi lo sa, qualcuno lo avrà tacciato di essere un uccello del malaugurio.
Che dire? C’è da sperare che almeno per una volta si tragga un qualche ammaestramento e si rifletta su quanto scritto nel dossier “Ecosistema a rischio”: “La stima del numero di cittadini quotidianamente esposti al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come, negli ultimi decenni, l’antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Se osserviamo le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche. L’urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può “allargarsi” liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci. In molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull’impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi, si assiste a pratiche di escavazione selvaggia, e così via.
Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire nelle aree golenali”. Ci sarà un’inversione di tendenza? Riusciremo finalmente a comprendere che prevenire è meglio che curare o per l’ennesima volta, dopo le lacrime di coccodrillo di oggi, dimenticheremo tutto, per poi piangere ancora morti domani.
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