
Di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionale Radicali Italiani
Nemmeno era venuta fuori la notizia di una possibile - e quasi verrebbe da dire auspicabile - espulsione dei Radicali dal gruppo del PD, che la “soldataglia” e i quadri di partito lucani si sono scatenati in una sorta di caccia all’uomo. Insomma, l’ennesimo segnale di una insofferenza e di un riflesso quasi pavloviano di chi alla politica preferisce la lottizzazione e il clientelismo. Tra i primi a puntare il dito, il figlio del Presidentissimo di Acquedotto lucano, che per dirla con Salvemini ha dato più da mangiare che da bere. I toni? Potete immaginarli! Inquisitori, con il dito puntato a mo’ di lupara partitocratica. I Franceschini e le Bindi invocano i probi viri e i soviet locali si scatenano nella caccia al radicale. Da ore è in corso un “democratico” linciaggio, dove manca solo l’accusa di taglio togliattiano di radicalfascisti. Addirittura c’è stato chi ha affermato: “Uno stato serio fa pagare chi sbaglia”. Ullalà, ma quanto rigore! Troppa grazia, madama la marchesa! Peccato, davvero peccato, che il nostro non sia né uno Stato serio, né uno Stato democratico, ma piuttosto uno stato delinquente abituale, che trasforma la detenzione in tortura per i detenuti e l’intera comunità penitenziaria. Uno Stato dove all’amnistia legale proposta dai radicali si preferisce l’amnistia clandestina e di classe che produce ogni anno 170mila prescrizioni. Uno stato canaglia pluricondannato dall’Europa sull’amministrazione della giustizia. Uno stato dove la possibilità di ricevere giustizia per imputanti e vittime è davvero scarsa. Ma in assenza di dibattito, un’indignazione fasulla e pelosa monta e assume, lo ripeto, i tratti e le caratteristiche del linciaggio senza uno straccio di possibile autentica replica. In questo paese si può discutere solo di escort e di cronaca nera e di certo non una volta è stato concesso a Marco Pannella e ai radicali di spiegare il perché della proposta di amnistia, da intendersi non come atto di clemenza, ma di giustizia. No, lor signori preferiscono l’amnistia di classe, quella di cui ha goduto Massimo d’Alema sulla vicenda cliniche riunite. Preferiscono aggiustare le cose loro come si fa tra cosche. E se no che palermitani e corleonesi sarebbero? Ma il linciaggio continua, e lì con il dito puntato arrivano a dirti che i deputati radicali sono dei nominati. Loro che hanno silurato la volontà popolare a favore dell’uninominale maggioritario. Loro che non hanno proferito verbo quando a pochi giorni dalle elezioni si è cambiata la legge elettorale. Loro che non hanno dato risposte sui brogli reiterati. Loro, quelli che “la legge si interpreta per gli amici e si applica per i nemici”. Loro che nulla hanno avuto da dire quando i radicali affermavano che senza democrazia non ci sono elezioni, ma solo violente finzioni contro i diritti civili e umani. Ed eccoci qui a parlare di probi viri e politburo, mentre si dovrebbe discutere di una democrazia malata. Ed eccoci qui, ad ascoltare il moralizzatore Di Pietro che parla di visibilità a buon mercato. Povero Tonino, lui di mercato e di mercanti se ne intende. Tonino, però, non rappresenta un problema per i “demogratici”, i radicali sì. Perché i radicali rappresentano un dato antisistema. I radicali prospettano alternative a questo pestilenziale status quo.
Per dirla con Marco Pannella, cari demogratici questa non è “una crisi di legislatura, è una crisi di regime, dalla quale non si può uscire chiudendosi all’interno dei recinti dei propri partiti e degli equilibri e rapporti partitocratici, sempre più distanti dal sentimento e dalle speranze dell’opinione pubblica. Se ne può uscire avendo il coraggio di aprire un dibattito a tutto campo, che coinvolga l’intero Paese, sull’assenza di democrazia, la sistematica e consapevole violazione da parte delle istituzioni della loro stessa legalità costitutiva, sul soffocamento da parte dei detentori del potere politico dei principi e delle garanzie dello Stato di diritto”.
Sono orgoglioso di appartenere alla pattuglia democratica radicale, che ha innalzato alla Camera il vessillo della legalità e dello stato di diritto, mentre tutti gli altri erano impegnati nella consueta guerra tra bande, dove non può esserci spazio per chi vuole onorare la politica e la nobiltà della politica.
Il PD vuole espellerci? E da cosa? Il regime, di cui il PD è parte integrate, ci ha già espulsi. Hanno espulso i temi di cui ci occupiamo. Hanno espulso Marco Pannella e Luca Coscioni. Hanno espulso il nostro simbolo e le nostre liste. Sarebbe solo la ratifica di un'espulsione che va avanti dal 2008, o meglio da sempre. Perdonatemi, ma personalmente mi auguro che questa espulsione abbiano il coraggio di metterla in pratica.
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