
In una manovra in cui si taglia di tutto e si riduce la spesa per il sociale, intervenire sulla “tassa Vaticano” si conferma un tabù.
È bastato proporre il taglio di alcuni privilegi perché la politica ficcasse la testa sotto la sabbia mentre i soliti noti provano a cambiare le carte in tavola evocando bufale e schizzi di fango.
Non sarebbero le attività di culto ad essere toccate dai tagli ma quelle commerciali su cui, come ammette lo stesso Avvenire, l’area dell’elusione, cioè di chi gioca sui dubbi interpretativi, non è irrilevante.
Per quanto riguarda le esenzioni fiscali, nessuno potrà negare che gli enti ecclesiastici godono di una forte riduzione dell’Ires così come è difficile minimizzare la portata dell’esenzione Ici per le attività anche commerciali, valutati dall’Anci in almeno 400 milioni annui di mancato introito.
Circa l’8 per mille, poi, rimane un fatto che la CEI ogni anno incassa 1 miliardo di euro grazie ad un meccanismo truffaldino e che lo spende soprattutto per pagare lo stipendio ai preti, costruire nuove chiese, finanziare le varie iniziative politico-culturali della Conferenza episcopale e la galassia di associazioni antiabortiste protagoniste della guerra al referendum sulla legge 40 e alle lotte di Welby ed Englaro. Altro che poveri.
Quello stesso 8 per mille che secondo la legge dovrebbe essere dimezzato, perché in pochi anni il suo gettito è aumentato di cinque volte, passando dai 210 milioni di euro del 1990 al miliardo di oggi, nonostante lo stipendio dei preti sia poco più che raddoppiato.
Dichiarazione di Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani
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