La richiesta di chiarimenti da parte della Corte Europea per i diritti dell’Uomo al nostro Paese, a seguito dei ricorsi presentati dai detenuti di alcuni istituti di pena italiani, rappresenta un primo risultato utile a sollevare l’attenzione internazionale sullo stato di illegalità delle nostre carceri.
Noi Radicali abbiamo sostenuto i ricorsi alla Corte di Strasburgo come strumenti di rivendicazione di diritti fondamentali e inviolabili. In particolare abbiamo aiutato i detenuti del carcere di Fuorni a presentarli, dopo aver constatato il degrado della struttura salernitana in occasione delle visite ispettive effettuate dalla deputata radicale Rita Bernardini - insieme ai responsabili dell'associazione radicale «Maurizio Provenza» Donato Salzano e Manuela Zambrano - alle quali sono seguite diverse interrogazioni parlamentari per chiedere conto ai ministri della Giustizia e della Salute delle criticità e carenze riscontrate. L’ultima risale a meno di un anno fa e denuncia un forte deficit di agenti e di personale in servizio a fronte del gravissimo sovraffollamento; la mancanza di assistenza psicologica e psichiatrica; un’assistenza sanitaria decisamente inadeguata alla presenza di numerosissimi detenuti tossicodipendenti e di diversi casi a rischio suicidio; scarsissime possibilità di lavoro per i detenuti e pasti insufficienti per uomini di circa trent’anni, sebbene rispondenti alle tabelle caloriche del DAP e molte altre problematiche.
Nell’interrogazione della deputata radicale si legge anche che i detenuti di Fuorni passano in celle sporche e degradate almeno 20 ore al giorno, costretti a stare in 7 in 20 mq (meno di 3 metri a testa), e che in molte celle ci sono ancora il wc a vista benché vietati dall’ordinamento penitenziario.
Recentemente si sono inoltre verificate emergenze alla sezione tossicodipendenti - anche queste oggetto di interrogazione - e un disservizio all’ufficio postale di Fuorni che mette a serio rischio l’approvvigionamento mensile di cibo e medicinali dei detenuti.
L’interessamento della Corte di Strasburgo è un segnale positivo non solo ai fini di un risarcimento per il trattamento subito dai detenuti, ma anche per il riconoscimento del reato di tortura, contemplato
dall’articolo 3 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dal nostro Paese, ma non ancora recepita dall’ordinamento italiano.
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