
Il consiglio Ecofin, riunito oggi a Bruxelles, ha raggiunto un accordo politico su tutto il pacchetto che rafforza la 'governance' economica dell'Ue, e su cui dovrà ora esprimersi anche il Parlamento europeo.
In cosa consiste? In una più stretta sorveglianza dei bilanci nell'Eurozona nonché la prevenzione e la correzione dei disequilibri macroeconomici tra i Paesi Ue. Ma, come per il passato, si bada all’entità complessiva della spesa, non alla qualità. Insomma, le istituzioni europee chiedono rigore, senza considerare che in Paesi come l’Italia, ove il debito pubblico è una costante di lunga data, la pratica dei tagli lineari uccide l’economia perché toglie risorse ad investimenti produttivi e prosegue imperterrita nell’aumento della spesa corrente: quella nefasta per il Paese ma buona per i partiti, perché “porta voti”.
Prova ne sia il fatto che il premier abbia dichiarato oggi, sinceramente: “Abbiamo tagliato da tutte le parti”. Bravo, peccato che così si uccida l’Italia. Si deve tagliare il superfluo, non il necessario.
Il vero nodo gordiano si trova però in Europa ove si pretende ma non verifica la qualità dei tagli, limitandosi alla verifica della sola entità del debito. Non importando le cause che l’hanno prodotto: ciò è non solo iniquo, ma anche inefficace. Si deve premiare la produttività, il merito, l’intrapresa, non il mantenimento di un settore statale pletorico che fa da zavorra al sistema paese, che blocca le infrastrutture e la ricerca necessarie alla produzione.
Nonostante le buone intenzioni, il Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d'Italia ci informa che non si interrompe la galoppata del debito pubblico italiano. In gennaio il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato di 36,7 miliardi rispetto al mese precedente, fermatosi a quota 1.879,9 miliardi. A tale aumento si aggiunge il fabbisogno del mese pari ad ulteriori 2,1 miliardi. Rispetto a gennaio 2010, quando l’importo si era attestato a 1.790,8 miliardi, la crescita del debito è dunque pari al 4,9%.
Il combinato disposto di tagli orizzontali, del premio alla spesa corrente, che genera una diminuzione del PIL, ha il logico effetto di far aumentare il rapporto aureo UE pari al mitico 60% poiché l’aumento delle spese al numeratore diviso per la diminuzione del pil al denominatore, crea un prodotto pari alla perdita per l’Italia del treno verso la modernità.
In tutto ciò la BCE pretende sempre maggior rigore, ma senza indicare i criteri coi quali realizzarlo. E a forza di criticare, le critiche giungono ad essa stessa: in Italia, l’Istat ci informa che a febbraio l'inflazione è volata al 2,4% su base annua. Si tratta del dato più alto dal novembre del 2008. Su base mensile, invece, il tasso è stato pari al +0,3%.
Con buona pace della missione della BCE, il contenimento dell’inflazione, che si ottiene anche diminuendo il denaro circolante. Invece la BCE mantiene i tassi d’interesse pari all’1%, non riuscendo a garantire in nessun modo la ripresa, ma fornendo la base monetaria necessaria a provocare l’aumento dell’inflazione. Senza aumento di produzione, di manufatti, di servizi, l’immissione di denaro sul mercato genera solo inflazione, che pagano tutti, ricchi e poveri. Solo che i poveri, con i loro gli stipendi da fame sono la preda più vulnerabile. Con buona pace della missione affidatale e dell’equità sociale.
Infatti, anche nel resto dell’ UE gli stati membri non se la passano di certo meglio. il tasso d'inflazione nei Paesi della zona dell'euro è salito del 2,4% in febbraio, contro il 2,3% del mese precedente. Lo comunica Eurostat, l'ufficio europeo di statistica, che conferma così la sua stima flash del primo marzo. Nell'Unione europea, invece, il tasso d'inflazione è rimasto stabile al 2,8%.
Insomma, più che la domanda, andrebbe rafforzata l’offerta ed il risparmio. Ma ciò costerebbe in termini elettorali quindi nessuno si azzarda a “rischiare il posto per salvare il Paese”.
Che la produzioni ristagni, lo confermano anche i dati OCSE: il super indice generale di gennaio segnala per l'Italia che la situazione resta invariata, con una decrescita pari a -0,1 punti.
L’effetto combinato di recessione e inflazione non è piacevole, ma governo e opposizione sembrano non farci caso.
Questi sono segnali gravi, perché prefigurano per l’Italia la totale deficienza della ripresa economica, in atto in altri più virtuosi paesi. Noi, per essere ottimisti, ci accontentiamo di rimanere fermi mentre gli altri corrono.
Inoltre, il dato divulgato della disoccupazione stabile all’8,6% e’ inattendibile perché, a differenza del resto d’Europa, in Italia non sono considerati i lavoratori in Cig e quanti non cercano più’ lavoro. Considerando tutti gli inoccupati giungeremmo alla percentuale reale pari al 10,5%. Ed all’orizzonte non si intravede alcuna ripresa dell’occupazione.
Insomma, se l’Italia non vuole rischiare il trattamento PIGS, deve darsi una mossa, a partire dal Governo, ma passando anche per opposizioni, corporazioni, poteri più o meno forti. Nella speranza che prima poi di ciò si occupi non l’interesse di gruppi organizzati per il proprio tornaconto, ma la “Politica”
Servono idee alternative, altrimenti avremo una gran massa di sfortunati ed una piccola elite economico-finanziaria sempre più ricca.
In Italia, sino a quando non metteremo mano alla riforma dell’articolo 81 della Costituzione non avremo strumenti giuridici in grado di rendere virtuoso il bilancio dello Stato e quindi non usciremo dal pantano in cui ci siamo cacciati da oltre un trentennio.
In Parlamento, qualcuno se ne è accorto?
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