
LA STORIA
Malgrado le sue 5 legislature non ha maturato il vitalizio
È il 19 settembre del 1988. Allo stadio Mu Dung di Gwangju, in Corea del Sud, gli azzurri perdono 4 a zero con lo Zambia. Ma Marco Pannella della clamorosa sconfitta italiana se ne infischia. Quello che gli preme è sottolineare gli eccessivi compensi del calcio nazionale. Per questo, in segno di protesta contro il fenomeno, devolve tutto il suo stipendio di parlamentare ai giocatori africani.
Non è un episodio isolato. L’uomo delle battaglie per i diritti civili, l’abruzzese non duro ma puro, che ha difeso la legge sul divorzio e ha promosso quella sull’aborto, il maratoneta dei digiuni che spesso hanno messo in pericolo la sua vita e che il due maggio compirà 85 anni, non è nuovo a questi gesti. Anzi. L’abnegazione «politica» del Ghandi teramano, da questo punto di vista un grillino decisamente ante-litteram, è una costante. E però non nota ai più. Al contrario. Tanti compagni radicali ignorano la sua generosità, anche perché Marco, persona schiva che evita accuratamente l’ostentazione, dona in silenzio, come dovrebbero fare i veri benefattori. E lo fa per consentire a lui e ai «suoi» di portare avanti le loro battaglie.
Eppure la sua carriera istituzionale è lunga quasi mezzo secolo. È stato deputato dal ’76 al ’92; parlamentare europeo nel ’79, nell’84, nel ’99 e nel 2004; consigliere comunale a Trieste (1978), a Catania, Napoli, Teramo, Roma e l’Aquila; consigliere regionale nel Lazio e in Abruzzo e persino presidente della ex XIII circoscrizione (Ostia). I primi contributi li ha versati nel 1958, quale redattore del «Giorno». Ma solo 51 anni più tardi, nel 2009, scatta per lui una pensione di parlamentare per i suoi mandati «monchi»: 2600 euro al mese integrati da un’assicurazione privata. Poca cosa rispetto agli altri. E in tempi di spending review e di ossessione mediatica sugli sprechi di denaro pubblico, Pannella rappresenta un faro nella notte. Una pecora nera che, malgrado le sue cinque legislature, non gode di alcun vitalizio pieno. «Si è sempre dimesso prima di metà legislatura per far subentrare il primo dei non eletti - spiega l’avvocato Giuseppe Rossodivita -, perdendo così i diritti al vitalizio».
Il San Francesco dei diritti civili, però, non ha regalato il suo denaro ai poveri. Lo ha versato direttamente della casse del partito radicale. Obiettivo: portare avanti la lotta. Così, a parte le due pensioni di cui sopra, oggi Pannella è praticamente nullatenente. E dire che le sue origini non sono umili. «Viene da una famiglia benestante - continua Rossodivita - Io solo gli ho venduto due palazzi interi, uno a Teramo e uno a Giulianova, sul lungomare. Parliamo di milioni di euro, tutti soldi che lui ha subito devoluto al partito, senza tenere niente per sé. D’altra parte le battaglie radicali costano - continua Rossodivita - Basta pensare ai referendum: solo per stampare i moduli, organizzare i gazebo e i tavolini...Infatti, noi non siamo contro il finanziamento pubblico, ma chiediamo che lo Stato elargisca servizi per rendere praticabile la politica, invece di soldi, e siamo favorevoli a finanziamenti privati trasparenti».
La mosca bianca radicale fa impallidire i Lusi e i Fiorito di turno. «Non c’è differenza tra Marco pubblico e Marco privato - conclude Rossodivita - La sua vita è quasi monacale. L’unico suo vizio è il fumo. La voce più grossa del suo bilancio è rappresentata da toscani e sigarette».
