[3]di Marco Perduca [4] pubblicato il 23 giugno 2014 su L’HUFFINGTON POST [5]
Il 26 giugno si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale della lotta alla droga. È anche la giornata mondiale in ricordo delle vittime della tortura. Tanto nel primo, quanto nel secondo campo, l’Italia non eccelle, anzi!
Quattro mesi fa la Corte costituzionale ha dichiarato nulla la legge Fini-Giovanardi per il modo con cui nel 2006 era stata imposta al governo. A maggio Governo e Parlamento hanno rimediato ad alcuni vuoti normativi senza però cogiere l’occasione per una vera e propria riforma dell’impianto proibizionista della normativa. Domenica su il Garantista, la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini “suggeriva” al Governo alcune azioni necessarie e urgenti di rispetto delle leggi vigenti.
A oggi, non risulta che il Parlamento abbia in agenda un dibattito sulle “droghe”, né risultano trasmissioni televisive di approfondimento del tema. E i silenzi istituzionali non finiscono qui. Dopo le risibili modifiche alla legge ex-Fini-Giovanardi, il Governo non ha ancora nominato un sottosegretario competente per gli stupefacenti né ha sostituto il dottor Serpelloni a capo del Dipartimento sulle politiche sulle droghe. Non si conoscono le intenzioni di Matteo Renzi circa la convocazione della sesta Conferenza nazionale sulle droghe (l’ultima risale al 2009) né se farà della riduzione dei danni del proibizionismo sulle droghe una priorità della presidenza italiana dell’Unione europea. Eppure il problema permane sia in Italia che nel resto del mondo.
Negli ultimi anni l’Africa è diventata la principale zona di passaggio per la cocaina diretta verso l’Europa. Questa nuova vittima della guerra alla droga è stata annunciata nei giorni scorsi della West African Commission on Drugs. Secondo un rapporto presentato a Dakar la settimana scorsa, la cocaina prodotta nelle regioni andine prende la via dell’Atlantico dal Venezuela a raggiunge il Mediterraneo passando principalmente attraverso la Guinea Bissau, il Mali e la Libia. Anche sulla base dei dati raccolti dell’Ufficio sulle droghe delle Nazioni unite, la Commissione indipendente stima che il giro d’affari generato dalla droga nell’Africa occidentale sia di oltre 1,2 miliardi di dollari. Le narcomafie approfittano dell’instabilità dei paesi di transito e, in alleanza coi gruppi di insorgenti e le reti terroristiche, distraggono la sicurezza e l’opinione pubblica europea con gli sbarchi dei migranti e fanno arrivare nei porti dell’Italia meridionale tonnellate e tonnellate di cocaina.
Droga, esseri umani, rifiuti tossici e armi entrano ed escono dall’Italia con flussi crescenti. Le cifre del Viminale per il 2013 parlano di oltre 20mila operazione anti-narcotici con sequestri per oltre 72 tonnellate, il 43% in più rispetto all’anno scorso. I segnalati all’autorità giudiziaria son oltre 33mila. Insomma, proibire e punire continuano a fallire. Un quarto dei detenuti mondiali è in carcere per reati di droga.Sono 33 i paesi che prevedono la pena di morte, anche per mera detenzione e solo in Iran nel 2013 sono state 328 le persone giustiziate per questo. Negli anni, in virtù della “guerra alla droga” si sono fatti accordi coi peggiori regimi, dalla giunta militare birmana ai talebani, dal Vietnam al Laos alla Corea del nord. Tutto per proteggere il mondo dalle sostanze stupefacenti.
Ma le sostanze proibite dalla tre Convenzioni Onu in materia di stupefacenti sono anche utilizzabili per la ricerca scientifica e per aiutare malati affetti da decine di malattie. Eppure sono quasi 30 anni che studi approfonditi sulle piante e loro derivati illeciti vengono trattati come se fossero dei libelli sediziosi e vengono sistematicamente silenziate. Nel Regno unito uno studio sull’LSD s’è visto imporre il segreto di stato e gli è costato il posto!
A marzo di quest’anno la Commissione Onu sulle droghe ha deciso che nel 2016 verrà convocata una sessione speciale dell’Assemblea generale interamente dedicata alle “droghe”. Per non sprecare un’altra occasione di riforma, il Partito Radicale e l’Associazione si sono unite alla Global Commission on Drug Policies e alla campagna “Support Don’t Punish” per chiedere alle istituzioni italiane che si parli di droghe.
In vista della riunione alle Nazioni unite del 2016, occorre aprire un dibattito su “guerra alla droga” e violazioni dei diritti umani, pena di morte, limitazioni alla libertà di ricerca scientifica e uso terapeutico delle sostanze proibite, includendo i costi dell’amministrazione della giustizia e quelli delle attività anti-mafie per non parlare della corruzione e della salute pubblica. Qui è possibile firmare un appello a Governo, Parlamento e media italiani.
In mancanza di chiare intenzioni riformatrici antiproibizioniste, che comunque i Radicali propongono nel silenzio più totale dalla fine degli anni Sessanta, almeno #parliamodidroghe.
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