di Michela Suglia, da “ANSA”, 05-06-2013
Giudici in camera consiglio. I genitori: ”Ognuno paghi il suo. Siamo fiduciosi”
ROMA – Sono entrati in Camera di Consiglio i giudici della III Corte d’Assise di Roma per decidere le sorti dei 12 imputati per la morte di Stefano Cucchi, il geometra arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo al Reparto di medicina protetta dell’ospedale ‘Sandro Pertini’. I giudici hanno anticipato che usciranno con la loro sentenza nel primo pomeriggio. Imputati sono sei medici del ‘Pertini’ (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti e Flaminia Bruno), tre infermieri della stessa struttura sanitaria (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe)’ e tre agenti della Polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici).
A vario titolo e a seconda delle posizioni, sono accusati di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni ed abuso di autorità. Per l’accusa (che ha chiesto pene comprese tra i sei anni e otto mesi di reclusione e i due anni), Stefano Cucchi fu picchiato nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida, caddero nel nulla le sue richieste di farmaci, e in ospedale praticamente fu reso incapace di provvedere a se stesso e lasciato senza assistenza, tanto da portarlo alla morte.
di Michela Suglia
ROMA – Si vive, si sbaglia, si paga e si va avanti. Così nella vita. Stefano Cucchi non più. Secondo i suoi genitori, qualcuno gliel’ha impedito una sera di ottobre del 2009 e perciò deve pagare. Medici, infermieri o agenti penitenziari che siano. Giovanni Cucchi e Rita Calore tornano a poche ore dalla sentenza della III Corte d’assise di Roma, prevista oggi.
“L’aspetto con ansia”, non lo nasconde la madre. Poi alza gli occhi e aggiunge: “Ma ho fiducia… Stefano ci aiuterà“. Nella loro casa a Torpignattara la camera del figlio morto nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini di Roma, a una settimana dall’arresto per 20 grammi di hascisc e due di cocaina, è viva. I suoi libri sulle mensole, le foto alle pareti compresa quella accanto alla sorella-roccia, Ilaria, nel giorno del suo matrimonio. E poi i guantoni da boxe, sua grande passione, e il gagliardetto della Lazio, la squadra amore di nonno: “Lui era della Roma ma dal giorno dopo la morte del nonno Arduino, è diventato laziale anche lui”, racconta il padre. Un figlio che voleva fare il geometra come lui, e reduce dalla burrasca della droga. A 16 anni gli spinelli, poi la cocaina, nel 2004 la terapia in comunità. “Io da madre mi sono sempre accorta quando stava male e ora Stefano stava bene. Forse spacciava…”. E già quel sospetto piombato in casa la notte del 15 ottobre 2009 insieme ai carabinieri, era stato “il mondo che crolla addosso, di nuovo”. “Il giorno dopo, alla convalida dell’arresto, gli ho detto che doveva tornare in comunità” ma nel fotogramma successivo ci sono la faccia gonfia di Stefano, l’ultimo abbraccio con le manette ai polsi e parole incomprensibili: “Papà lo vuoi capire che sono stato incastrato? Me l’ha ripetuto tante volte”. Ma non è l’unica domanda rimasta in sospeso. “Perché Stefano è morto nelle mani della giustizia? Perché è morto come un cane? Dalla sentenza ci aspettiamo che a ognuno venga dato il suo”, insiste Giovanni aggiungendo: “Siamo credenti, possiamo anche pensare al perdono ma vogliamo la verità. Le lesioni che aveva non erano gravissime ma inferte con cattiveria”. Rita ripete come un rosario che “tutto è nato col pestaggio, senza di quello Stefano non sarebbe arrivato al Pertini e non sarebbe morto”. Perciò l’accusa di lesioni non basta, agli agenti va contestato l’omicidio preterintenzionale, é la tesi sostenuta dai difensori della famiglia. E poi “servono controlli perché io non credo siano mele marce – continua la madre – ma solo persone che lavorano per lo Stato e che quando hanno problemi, sfogano sui più deboli. Io ho insegnato per 40 anni e durante la tossicodipendenza di Stefano, i miei problemi sono rimasti qui”.
La disavventura con la giustizia invece è andata oltre ma nonostante la fatica e il dolore, i Cucchi rifarebbero tutto. “E non ci interessa che dicano che era un tossico. Quello che ha fatto di male l’ha pagato e avrebbe pagato anche questo, ma stavolta gliel’hanno impedito”.
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