di Umberto Ciarlo, da Cronache di Napoli, 28-05-2013
NAPOLI (ucia) – Non solo agenti. Ieri mattina insieme con il sindacato Sappe fuori il carcere di Poggioreale c’era anche l’esponente radicale, nonché presidente della cellula napoletana di Nessuno tocchi Caino, Luigi Mazzotta, e l’onorevole Paolo Russo (Pdl), giunto per ascoltare i motivi della protesta. “Poliziotti e radicali uniti per una vera riforma della giustizia”, recitava il cartellone indossato da Mazzotta, la realtà dei fatti ha dimostrato vera la frase. Ridurre il numero dei detenuti, questo l’imperativo sia del sindacalista che dei due politici.
Il fine identico, i modi con qualche sfumatura. Donato Capece si è detto contrario ad indulto o amnistia e vede la diminuzione del numero dei detenuti passare attraverso un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione in carcere. “In Italia ci sono ventimila detenuti con pene sotto i tre anni che in carcere non ci dovrebbero stare – ha spiegato il capo del Sappe. C’è bisogno di una revisione del sistema sanzionatorio che permetta l’espiazione dei delitti minori sul territorio, il carcere deve essere considerato l’extrema ratio per i casi più pericolosi, non una discarica sociale. Altrimenti in carcere si morirà sempre. Gli agenti sono costretti a stress estremi, basti pensare che un solo agente si trova a dover vigilare anche su 100 detenuti, ed i detenuti si trovano a scontare pene dolorose alle quali nessuno li ha mai condannati poiché l’unica pena loro inflitta consiste nella mancanza di libertà personale”. Per Luigi Mazzotta invece Amnistia ed indulto devono essere la premessa ad un riforma del sistema sanzionatorio e della giustizia in toto. “C’è’ necessita’ – ha affermato il parlamentare Pdl – di mettere mano alla sicurezza nelle carceri. C’è un’attenzione sempre ridotta nei confronti di chi è detenuto e del tutto assente per chi in questo mondo opera per la tutela dei diritti dei detenuti e di chi è fuori”. Russo ha assicurato il suo sostegno in parlamento per cercare “pene alternative da una parte ma anche che evitino gli sprechi che, a cominciare dal braccialetto elettronico, mi sembra siano stati tanti. Quello delle carceri è un mondo dimenticato che va reso civile con chi opera perché la vita dei detenuti possa portarli alla redenzione”.
Anche Donato Capece si è soffermato sulla questione dei braccialetti elettronici: “Nel 2001 il governo ha formato un contratto esclusivo con la Telecom per dieci anni, un contratto costato milioni e che ha portato solo una mezza dozzina di detenuti ad avere il braccialetto elettronico. Da quest’anno c’è un nuovo contratto, sempre con la Telecom, ed aggi ci sono solo 7 detenuti che ne beneficiano, sei dei quali a Campobasso”.
[4]Condividi [5]