di Marco Palombi pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 29/04/13
Il governo è fatto, la fiducia in Parlamento quasi una formalità, resta sempre quel problemino. Quale? I processi di Silvio Berlusconi, attualmente statista. Tralasciando quello per le intercettazioni Unipol (condanna a un anno in primo grado), a preoccupare davvero il Cavaliere sono due procedimenti: quello sulla compravendita di diritti tv (anche qui primo grado chiuso “in svantaggio” di quattro anni) e quello per concussione aggravata e “altro” nell’affaire Ruby, non lontano dalla sentenza.
La faccenda non è tanto il rischio di andare effettivamente in prigione – nel breve periodo quasi inesistente tra indulto del 2006 e veneranda età dell’interessato (vedi legge ex Cirielli) – quanto quella brutta abitudine dei magistrati di comminare pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici: per i diritti tv già gli hanno dato cinque anni, di cui tre indultati, che rischiano di diventare definitivi ad inizio 2014 e impedire all’ex premier di candidarsi in caso di elezioni.
Ovviamente non tutti si sono distratti in queste settimane e l’ostacolo che si frappone tra il Belpaese e le sue magnifiche sorti, e progressive, è ben presente a più di qualcuno. Ieri, per dire, Giuliano Ferrara ha dimostrato di ricordarselo pubblicando una sorta di arringa finale su “Il Giornale”. Titolo: “Ora i giudici devono deporre le armi”.
Svolgimento: “Una condanna risulterebbe ad un numero impressionante di cittadini semplicemente ingiusta, il timbro finale di una storia accanita di eccessi legalistici e di tentativi maldestri di massacramento”, “un modo per prolungare l’interminabile guerricciola civile contro persone simbolo”.
Conclusione: “Assolvete dunque, in nome e per conto dell’etica della responsabilità”. Purtroppo per il Cavaliere, però, infinite cantonate sui tentativi di appeasement con la magistratura tramite i buoni uffici di quel presidente della Repubblica o vicepresidente del Csm o Guardasigilli hanno dimostrato che questa strada non sempre funziona: basti ricordare il Berlusconi che rinfacciava al Quirinale la garanzia sulla non bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta.
E allora? I migliori avvocati del nostro, come si sa, stanno nelle commissioni Giustizia, e non in Tribunale, e potrebbero sfruttare il nuovo clima di concordia per risolvere (di nuovo) il problema con una bella legge. E ce n’è una sola, data l’eterogeneità delle accuse a Berlusconi, che possa funzionare: concessione di amnistia e indulto. Questa via, peraltro, ha il pregio di permettere ai berluscones di mimetizzarsi nella sacrosanta battaglia di quei parlamentari – tutti di estrazione radicale o comunque vicini al partito del neoministro Bonino – che fanno una sacrosanta battaglia sulle condizioni carcerarie nel nostro paese: 139,7 detenuti ogni 100 posti, oltre 65mila il numero totale, il 30% tossicodipendenti, il 40% in attesa di giudizio definitivo.
In parlamento, peraltro, ci sono già due ddl sul tema: uno del prodiano Sandro Gozi alla Camera, uno in Senato firmato da Luigi Manconi del Pd e Luigi Compagna del Pdl (in prestito al mini gruppo sudista), l’uomo che la scorsa legislatura tentò di restaurare l’immunità parlamentare con un altro ddl bipartisan. Del primo ddl ancora non è disponibile il testo, del secondo sì e la soluzione sarebbe davvero radicale: amnistia per i reati commessi fino al 14 marzo 2013 (esclusi alcuni, ma non quelli che riguardano Berlusconi), più un indulto di quattro anni con automatica cancellazione “per intero per le pene accessorie temporanee”.
Insomma, dovessero condannarlo nel frattempo (e quindi l’amnistia va a vuoto), arriva la seconda lama dell’indulto. C’è un problema. Amnistia e indulto, da Costituzione, si approvano coi due terzi dei voti nelle due Camere: per un ddl senza il Cavaliere dentro i numeri probabilmente ci sono, in questa formulazione “corretta” col famoso salvacondotto è a [3]ssai difficile.
Condividi [4]