di Fabrizio Ferrante, da www.epressonline.net [3], 10-04-2013
I Radicali, come noto, sono nuovamente fuori dal Parlamento dopo un’esperienza durata circa sette anni per un totale di due legislature. Eppure, ciò non costituisce un limite per un movimento che, probabilmente, ha ottenuto i suoi maggiori successi proprio quando non poteva vantare rappresentanti nel Palazzo, situazione analoga a quella attuale al netto di doppie tessere come Sandro Gozi e Benedetto Della Vedova – a meno che Emma… -. Come auspicato anche da queste pagine è partita una nuova campagna referendaria che ha portato Radicali Italiani a depositare oggi in Cassazione, a Roma, alcuni quesiti referendari.
Finanziamento pubblico ai partiti, otto per mille, immigrazione, droghe e divorzio breve, questi gli argomenti su cui verteranno i referendum, a sostegno dei quali i Radicali sono pronti a una massiccia campagna di raccolta firme – 500 mila – con tavoli destinati a sorgere in tutta Italia. Oltre a tali tematiche e a supporto delle medesime, sono pronte alcune proposte di legge di iniziativa popolare su legge elettorale, coltivazione della cannabis, abolizione del quorum ai referendum abrogativi e separazione fra banche e fondazioni. Un programma politico o quasi, per un’iniziativa che si affianca all’altra – curata da diverse associazioni fra cui Antigone e Ristretti Orizzonti – parimenti degna di considerazione, consistente nella raccolta firme a sostegno di leggi di iniziativa popolare per “legalizzare” il carcere. Fra queste, anche una raccolta finalizzata a una legge che contempli nel nostro ordinamento il reato di tortura. Tutto ciò, nei giorni in cui il governo ha deciso di ricorrere contro l’ultima delle oltre 2.000 condanne Cedu nei confronti del nostro paese per via delle condizioni inumane delle nostre carceri.
Lo stato criminale, insomma, ha deciso di ricorrere piuttosto che porre mano a una seria riforma della Giustizia e del sistema penale. Ne prenda atto chi pensa a una persona come Paola Severino, attuale Guardasigilli, come papabile per il Quirinale.
Scendendo nel merito dei quesiti depositati in Cassazione, il primo riguarderà il finanziamento pubblico ai partiti che, come noto, fu già abrogato nel 1993 attraverso un referendum radicale, salvo essere quintuplicato e cambiato di nome in “rimborsi elettorali”. I cittadini saranno chiamati a decidere se abrogare o meno, di fatto in toto, la norma n.96 del 2012, che prescrive un fondo per i finanziamenti pubblici e i rimborsi e uno – a parte – per le donazioni private ai partiti. Restano salve le detrazioni per le erogazioni liberali e si confermano le norme di trasparenza in capo alle tesorerie, con la creazione delle apposite anagrafi patrimoniali. Il secondo quesito verterà sull’otto per mille, segnatamente la parte di questo non destinata ad alcuna confessione religiosa né, tanto meno, allo Stato. Si tratta di 600 milioni di euro che, ogni anno, finiscono per il 90% nelle casse vaticane e che, laddove passasse il referendum, resterebbero a disposizione delle casse dello Stato. La cifra non è irrilevante, dal momento che si tratta di circa il 50% dell’intero ammontare dei fondi da otto per mille.
Altro tema investito dalla raccolta referendaria sarà l’immigrazione. In questo caso si chiederà l’abrogazione di due specifiche norme e, conseguentemente, di innumerevoli prassi spesso penalizzanti per gli stranieri presenti in Italia. Prima misura da abrogare, il quinto comma dell’articolo 14 del testo unico sull’immigrazione, varato nel 1998 con successive modifiche. La norma prevede la possibilità, in capo al giudice di pace, di prorogare di ulteriori 60 giorni la permanenza degli immigrati nei Cie. Tale facoltà costringe le persone immigrate a vere e proprie detenzioni in strutture non dissimili alle carceri, oltre che uno spreco di denaro per mantenere all’interno gli “ospiti” fino anche a 18 mesi. Il secondo punto del quesito riguarda l’abrogazione degli articoli 4 e 5 del testo unico sull’immigrazione, che costringe gli immigrati a sottostare ai ricatti occupazionali dei datori di lavoro, spesso impiegati a nero o con contratti fittizi ma necessari a ottenere il permesso di soggiorno. La mancata regolarizzazione di tutti questi cittadini, 500 mila persone all’anno – di cui solo la metà vengono sanati – secondo stime della Caritas e della Fondazione Ismu, porta a una rinuncia di quasi tre miliardi di euro all’anno di gettito fiscale per lo Stato.
Altro tema nuovamente all’ordine del giorno, esattamente come nel 1993, è quello sulle droghe e anch’esso all’epoca fu trattato alla stregua del finanziamento pubblico ai partiti, col Parlamento impegnato a legiferare in senso opposto alle deliberazione popolare, nettamente antiproibizionista. Il referendum chiede di abrogare le misure restrittive della libertà personale e la reclusione in carcere per tutte quelle condotte inerenti il consumo o il piccolo spaccio di sostanze illecite. Rispetto alle pene previste oggi – da uno a sei anni, ma anche da sei a 20 anni nei casi ritenuti più gravi – si passerebbe all’ammenda da tre mila a 26 mila euro. I Radicali, specificano nel sito www.lisostengo.it [4] – dove è possibile reperire tutte le informazioni sulla campagna, oltre che sostenere la lotta in prima persona – che la legalizzazione completa – con tanto di locali in stile olandese – non è ottenibile per via referendaria, ma resta sempre “la nostra prospettiva”. Il referendum inserisce anche la coltivazione di cannabis fra le condotte rientranti nell’eventuale riforma, una grande novità essendo fino a oggi – al netto di alcune sentenze della Cassazione di cui pure ci siamo occupati, clicca qui – tale azione equiparata allo spaccio.
L’ultimo quesito riguarda il divorzio breve. Con esso, si chiederà ai cittadini di abrogare la legge 898 del 1970, che dispone il periodo obbligatorio di separazione di tre anni, dando la possibilità alle coppie di richiedere il divorzio contestualmente alla domanda di separazione. Una prassi da anni diffusa in Europa e nell’Occidente tutto, ma che in Italia risente ancora oggi della cappa vaticana e dell’influenza del diritto canonico sul nostro ordinamento.
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