di Fabrizio Geremicca, da http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it [3], 06-04-2013
NAPOLI — Raggiungerlo senza auto è un’avventura, perché l’ unico autobus che transita da quelle parti, il 192, ti lascia in via Argine. Poi tocca camminare a piedi per mezz’ora, oppure affidarsi ai “tassisti” improvvisati che ti portano a destinazione, per un euro, su furgoncini piuttosto malmessi. Orientarsi, una volta in zona, non è meno complicato, perché via Commissario Ammaturo, la strada dove è ubicato, a Ponticelli, la conoscono davvero in pochi. Fino alla modifica introdotta dalla commissione toponomastica si chiamava, infatti, via Botteghelle. Eppure, se c’è un ufficio del Comune di Napoli che è meta, ogni mese, di centinaia di utenti, questo è quello dedicato all’esame delle pratiche di condono edilizio. Per quelle stanze sono passati – il dato è aggiornato al 31 dicembre 2012 – 59.500 napoletani.
Negli archivi della palazzina giacciono 110.000 pratiche, scansite dal personale ed immesse al computer, per garantire maggiore sicurezza e per metterle al riparo da ogni possibile sottrazione di documenti. Sono relative alle richieste presentate sulla base delle tre sanatorie succedutesi in meno di trent’anni. Il primo condono edilizio risale infatti al 1985, governo Craxi. Includeva, senza alcuna limitazione di cubature, tutti gli abusi realizzati fino al I ottobre 1983. Unica condizione, per i manufatti costruiti in aree a vario titolo vincolate: il rilascio della concessione in sanatoria era subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela (per il vincolo paesaggistico di solito i Comuni, con successivo controllo ed eventuale annullamento da parte delle Soprintendenza).
Secondo dati del Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia ed il territorio, l’effetto annuncio del primo condono ha provocato – nel solo biennio 1983/1984 – la costruzione di 230.000 manufatti abusivi. La seconda sanatoria fu varata dal governo Berlusconi e risale al 1994. Riapriva i termini del precedente condono e lo estendeva agli abusi realizzati fino al 31 dicembre 1993. Pochi i limiti previsti: le opere condonabili non dovevano aver comportato un ampliamento superiore al 30% della volumetria originaria ed in ogni caso non superiore ai 750 metri cubi. Ultimo (si spera) atto: il condono del 2003, anch’esso varato da Berlusconi. La Regione Campania governata da Bassolino tentò di limitare i danni, con una legge che escludeva la possibilità di sanare le opere realizzate in aree demaniali, nella zona rossa del Vesuvio, su aree ed immobili vincolati. Ritoccava inoltre al ribasso le massime cubature condonabili. La legge regionale fu però approvata oltre i termini e fu dunque impugnata dal Governo. La Corte Costituzionale l’ha dichiarata illegittima proprio perché varata fuori tempo massimo. Una storia lunga e tortuosa, insomma. Osservata con gli occhi dei circa 80 dipendenti della ex Seterna, oggi con Napoli Servizi, deputati a gestire le pratiche inoltrate dai napoletani, si trasforma in cifre, numeri di protocollo, pratiche. Le istanze di condono inoltrate nel 1986 sono circa 80.000.
Quelle che risalgono al 1994 sono 24.108. Ottomilasettecento circa le richieste di sanatoria presentate a Napoli a seguito del condono del 2003. Dietro i numeri, i singoli casi. Si va dai peccati per così dire veniali – balconi trasformati in finestre, frazionamenti di stanze – a quelli di maggiore entità – realizzazione illecita di verande, sopraelevazioni illegali – fino ad arrivare ad interi palazzi sorti dal nulla. È accaduto anche questo, infatti: a Pianura ed a Ponticelli. In via Commissario Ammaturo è transitata la pratica dell’ ecomostro dell’Arenella, sorto da un pollaio, per il quale i proprietari avevano chiesto la licenza in sanatoria, ma che è stato demolito, dopo anni di inerzia, grazie alla caparbietà del giudice Aldo De Chiara. In quegli uffici è approdata pure la richiesta presentata da Crescenzo Polverino, che ambiva a sanare Casal da Padeira, il complesso residenziale da 55 mila metri quadri sulla collina dei Camaldoli, sequestrato poi a novembre dalla Procura di Napoli, nell’ambito di una operazione contro il clan Polverino. «Qui non si sarebbe potuto costruire nulla», ha commentato il giorno del blitz il procuratore Fragliasso. Eppure, anche per Casal da Padeira era stata presentata una pratica di condono. Complessivamente, si diceva, queste ultime sono 110.000.
Dal 2006 ad oggi impiegati e dirigenti che lavorano in via Commissario Ammaturo hanno istruito 32.000 concessioni in sanatoria. Circa 95 milioni di euro gli introiti per le casse comunali. Restano nel limbo 20.000 pratiche riguardanti immobili che ricadono in aree assoggettate a vincolo ambientale. Per esse, non è prevista la procedura in autocertificazione introdotta dalla giunta comunale nel 2006. Per quelle 20.000, dunque, il settore Pianificazione e Gestione del territorio, a dicembre dello scorso anno, ha varato una squadra speciale di tecnici che dovranno esaminarle ed esprimersi circa la possibilità di accoglierle. Per quelle non ricevibili, dovrebbero scattare le procedure di demolizione o di acquisizione al patrimonio. Così come, del resto, dovrebbero essere abbattute quasi 90 case in città, i proprietari delle quali sono stati condannati per abuso edilizio, con sentenza passata in giudicato. Pianura, Soccavo, i Camaldoli le aree dove si concentra gran parte di esse. Territori massacrati, letteralmente, dal cemento illegale.
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