di Fabrizio Ferrante, da www.epressonline.org [3], 16-02-2013
Al termine della settimana che ha visto Rita Bernardini in visita nei penitenziari campani di Poggioreale (Napoli) e di Fuorni (Salerno) diamo spazio a una testimonianza particolarmente eloquente di un cittadino ex detenuto nel carcere napoletano. A supporto delle denunce – alcune ormai note, altre meno – fatte da questo cittadino che ha pagato – a suo dire ingiustamente – il proprio debito con la Giustizia, proponiamo alcune dichiarazioni che Rita Bernardini ha rilasciato ai nostri microfoni sia prima che dopo la visita ispettiva a Poggioreale.
In particolare, il tema centrale che merita di essere quanto meno reso noto, riguarda presunti pestaggi che a Poggioreale avrebbero luogo ai danni dei detenuti. Alcuni di questi, infatti, hanno parlato alla deputata radicale della fantomatica “cella zero”, un luogo che – se realmente esistente – rappresenterebbe una violazione dei diritti umani da censurare e sanzionare a livello internazionale.
2839 detenuti, capienza massima 1600 circa; 930 con sentenze passate in giudicato, 325 stranieri e il 30% della popolazione detenuta è tossicodipendente. 102 mila colloqui annui conditi da code umilianti per i parenti, che spesso partono fin dalla sera prima della visita al congiunto in cella. Ancora, 750 agenti penitenziari in luogo dei 940 necessari per gestire la struttura. 18 educatori su 26 previsti e 12 psicologi. Queste sono le cifre di Poggioreale, numeri che da soli raccontano una realtà ormai ben oltre i limiti del tollerabile.
Da pochi mesi è venuto fuori da questo inferno un cittadino residente in un comune del napoletano, che ci ha raccontato alcuni aspetti della propria detenzione. Per chi conosce la materia, forse, non c’è nulla di particolarmente nuovo da scoprire. Se, vice versa, l’opinione del lettore fosse contraria a ogni forma di provvedimento in grado di alleggerire la pesantissima situazione delle carceri, la conoscenza di questi pochi spunti sulla quotidianità a Poggioreale – come in altri istituti – potrebbe contribuire a giudicare la questione anche sotto altri punti di vista. Nel corso della breve chiacchierata è emerso anche un dettaglio che, di per sé, rappresenta una violazione delle norme comunitarie sulla ragionevole durata dei processi. Violazione già più volte sanzionata dalla Cedu, con oltre 2000 sentenze di condanna verso l’Italia.
Ci può descrivere in poche parole la sua quotidianità durante la detenzione?
“Quando entri nel carcere di Poggioreale non sei più considerato un essere umano. Sono stato in una stanza quattro per quattro con nove persone. Dormivamo su letti a castello di tre piani che arrivavano sotto al tetto. La doccia la facevamo due volte a settimana se andava bene, dato che spesso mancava l’acqua calda. Dovevamo comprare a spese nostre le bombolette del gas da usare per scaldare l’acqua con cui lavarsi in quello che non possiamo neanche definire un bagno. Ecco, noi ci lavavamo così, questo era il nostro modo di lavarci e che ancora oggi è quello che in molti sono costretti a utilizzare a Poggioreale.
Su Poggioreale aleggiano delle voci circa maltrattamenti ai danni dei detenuti. Lei ne sa qualcosa?
“Le rispondo facendo un esempio: se non ti senti bene e chiami una guardia può essere un rischio che in molti, spesso, preferiscono non correre. Infatti non si sa mai che tipo di ‘squadretta’ si può incontrare né che fine si può fare dopo, dato che alcuni non guardano in faccia a nessuno e se incontri la ‘squadretta’ sbagliata, puoi anche essere riempito di botte. Ma su questo non mi faccia aggiungere altro”.
Eppure, carte alla mano, la sua detenzione aveva anche una particolarità non da poco…
“Infatti. Sono stato in cella dal novembre del 2011 al novembre del 2012. Ho avuto 45 giorni di buona condotta e la condanna di quattro anni, riferita a un reato commesso nel 2000, è stata ridotta a uno grazie all’indulto. Quindi, come capisce, ho scontato la pena dopo quasi 12 anni dal reato che mi è stato attribuito. Avevo dei piccoli precedenti ma risalenti a molti anni prima, da 25 anni a oggi ho sempre lavorato e la pena che ho scontato la ritengo ingiusta dato che il reato per cui sono stato condannato a distanza di 13 anni, non l’ho mai commesso”.
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