Riflessioni all’indomani dell’XI° Congresso di Radicali Italiani. Di Anastasia Deodato, da http://radicaliverona.org
Una premessa.
In apertura della seguente riflessione, una breve e importante premessa.
Il nome di Marco Pannella è meritoriamente famoso nel mondo. Gli si riconoscono indubbie attitudini di inventore-costruttore di idee e proposte per la difesa delle minoranze e per l’adozione di strumenti non coercitivi da parte delle maggioranze. Attraverso la messa a punto di una griglia di eredità che spaziano dal pensiero politico-filosofico liberale a quello socialista, Pannella e i suoi collaboratori hanno dato vita ad una specifica Visione Radicale: grazie a sperimentatissimi coraggio, generosità, determinazione, che sembrano dover essere rappresentati in primo luogo dal leader Pannella. I risultati a livello internazionale sarebbero lunghi da elencare, ma ci si può limitare a ricordare la Corte Penale Internazionale per i crimini di guerra, la Moratoria della Pena di morte, la probabile messa al bando delle Mutilazioni genitali femminili, la difesa del Tibet, dei diritti degli Uiguri, dei Montagnard ecc ecc… L’Italia poi gli deve un’enorme riconoscenza per le vittorie referendarie (divorzio, aborto, servizio militare volontario e professionale…) e per la diffusione del pensiero liberale in tutte le sue forme.
Il Sistema Radicale nel contesto italiano.
Spostando la valutazione su Pannella in un’ottica del tutto italiana, tuttavia, non si può prescindere dalle sue caratteristiche personali e di come esse si accordino con gli obiettivi indicati e caldeggiati. E occorrerebbe avere subito delle smentite su un punto cruciale. Se la conduzione delle battaglie radicali da parte di Pannella e Bonino, in Italia, non sia viziata dalla carenza di autocritica: da un eccesso di orgoglio che può anche essere assimilato alle ideologie arroganti di cui si critica l’assolutismo. Tale è quella sottolineatura di Alterità che viene osannata proprio quando non ce ne sarebbe bisogno: quando altri, dopo decenni di sordità e di doppio gioco, approdano finalmente alle proposte anticipate dai Radicali. Lo stesso tipo di Alterità Superioristica che, c’è da pensarlo, viene nettamente percepito da chi si accosta, vuole accostarsi o si è accostato ai Radicali e se ne è allontanato. Per questo viene vissuta con grandissimo imbarazzo e perplessità l’eventualità che i Radicali possano fare alleanze. Nonostante Pannella si propugni capacissimo e prontissimo a governare, intorno a sé non si riesce a vedere che terra bruciata. L’unica via per un’affermazione delle proposte Radicali, probabilmente, rimane quella referendaria, anch’essa del resto irta di trabocchetti e costosissima sul piano dell’impegno e della raccolta dei finanziamenti.
Dobbiamo però essere consapevoli fino in fondo di quali sono gli ostacoli interni alla nostra realtà che ci potrebbero condannare a divenire una forza extra-parlamentare per un tempo indefinito.
E se può essere troppo oneroso riuscire a stabilire quando e come sia cresciuto l’impasse in cui ci troviamo, è però utile pensare come i Radicali potrebbero-dovrebbero diventare un Partito in grado di farsi votare per incarichi di governo.
E’ necessario allora far notare al gruppo della dirigenza dei Radicali sia come questo Sistema Radicale – fatto di PRNTT, Lista Pannella e intera Galassia di Associazioni movimentiste – non giovi alla causa italiana, se si vuole farla uscire dalle secche, sia come la stessa presenza di Pannella risulti fuorviante per la stessa causa.
La Casa Radicale. I Pater Familias.
Come si sa, la richiesta di iscrizione ai Soggetti Radicali viene propagandata come l’asso nella manica per coprire le necessità finanziarie. L’argomento per cui un iscritto ai Soggetti Radicali (esclusa, incomprensibilmente, la Lista Pannella) diventa a pieno titolo partecipe delle decisioni – in quanto abilitato a votarle –, alla luce “confusa” di come si prendono le decisioni e, soprattutto, di come vengono gestite, è risultato un flop.
Dall’XI° congresso di Radicale Italiani è venuta fuori una gestione che di democratico ha solo la forma, mentre la sostanza delle regole lascia tutto in mano al gruppo dirigente storico. Quand’anche fossero approvati obiettivi non in linea col gruppo, il Movimento non potrebbe contare neanche sui fondi raccolti autonomamente, poiché questi possono venire spostati da una “stanza” all’altra della casa radicale, ossia ad esempio dalla Lista Pannella al PRNTT alle Associazioni secondo criteri imperscrutabili agli iscritti. Voler ancora chiamare democratica questa gestione significa amare gli eufemismi e non già il nome specifico delle cose. L’Italia, lo sappiamo, ha invece un assoluto bisogno di chiarezza e di riformatori che diano esempio di fare ciò che promettono di voler fare. Ed è un errore fondamentale ritenere che questo sia un particolare trascurabile in mezzo alle cose splendide che si vanno prospettando.
Se poi si sostiene che devono avere la priorità le battaglie del PRNTT perché riguardano cause internazionali e universali, allora si fa prima a dirlo e a chiudere la saracinesca sulla scena italiana.
Ma Gandhi, M. L. King, Nelson Mandela, il Dalai Lama, Aung San Suu Kyi, pur conoscendo i problemi fuori dal loro Paese non se ne sono andati in giro per il mondo a combattere tutte le discriminazioni: hanno concentrato le loro energie sul proprio Paese.
La trasparenza, pertanto, non può riguardare solo l’aspetto finanziario di una comunità, cioè il modo di farvi entrare il denaro e quello di farlo uscire. Deve essere invece chiara e accessibile a tutti tanto la trafila per cui si diventa “rappresentanti” in qualche incarico, quanto il controllo per cui lo stesso viene a decadere. In assenza di ciò lo slogan “conoscere per deliberare” fa la figura di un guscio vuoto. Un suggerimento immediato – in attesa che diventi proposta – è che chiunque non è stato eletto secondo le suddette procedure, quando parla in pubblico lo fa per suo conto e non in veste di rappresentante.
Secondo difetto produttore di grande malessere all’interno e all’esterno della Casa Radicale è il modo in cui gli stessi vertici valutano le contestazioni a loro rivolte, incluso ovviamente Pannella.
Qualunque rilievo a quello che si deve ormai prendere come dato acquisito, solo perché con l’imprimatur della dirigenza, può considerarsi una battaglia persa in partenza. Talvolta la risposta si addentra anche nel merito, e tuttavia il tono è inequivocabile: fa intendere che si è osato troppo, quasi un attentato di lesa maestà. E il malcapitato portatore della critica può andare incontro a vari giudizi inferiorizzanti, per uno spirito nonviolento in versione tutta “tecnicamente” pannelliana. Ma nessun riformatore nonviolento, come i grandi citati prima, si sarebbe mai permesso di usare parole offensive e umilianti verso i propri avversari-nemici. Dire ad esempio che è in un DNA storico-culturale l’impossibilità di accedere a principi quali l’obiettività e l’onestà intellettuale, significa creare un fossato incolmabile con chi si vorrebbe avere un’interlocuzione (cosa accaduta a Pannella, fra l’altro, parlando a proposito dei comunisti Napolitano, D’Alema, Bersani ecc).
A volte è la stessa impostazione di voce a trasudare disprezzo.
Sull’altro versante, invece, suona anche troppo simpatizzante la considerazione delle “marachelle” private di Berlusconi; anche se non è mai mancata la fermezza nel giudicare inaccettabili le leggi sul Falso in bilancio, sull’abbreviazione della Prescrizione, sui respingimenti degli immigrati (Bossi-Fini), sulla carcerazione per i consumatori di droga (Fini-Giovanardi).
La differenza fra lo sfegatato Grillo e il misurato Gandhi non può certo essere evidenziata né col metro dei decibel raggiunti dalla voce e nemmeno con la capacità di intercettare i bisogni della gente. Ciò che li distingue profondamente è quanto l’uno o l’altro sono in grado di parlare all’avversario accompagnandolo alla dignità del passo che gli si chiede di fare.
E se è questa la tipicità della nonviolenza rileviamo anche come non può esserle consono nessun autocompiacimento per l’esibizione dei propri umori. Questo rischio di un ego fuori misura è l’intralcio che salta agli occhi relativamente alla percorribilità del cammino dei Radicali. In definitiva non può essere di per sè convincente la durata del tempo speso per battere il chiodo, ma la forza morale che dimostra chi è intento a batterlo.
Non si sminuisce l’onore di Pannella, comunque, ammettendo che i suoi 55 anni e passa di storia militante possano averlo usurato e inasprito. Da se stesso, però, dovrebbe comprendere che le sue modalità di comunicazione non sono adeguate a far fare passi in avanti: e che la palude in cui ora si trovano i Radicali sta rischiando di inghiottirli
Proprio perché è del tutto realistica e contagiosissima la Peste Italiana (di uno Stato che non rispetta le sue leggi e non le fa rispettare) – come tale fatta risalire dai Radicali alla nascita dello Stato Repubblicano, sebbene con radici culturali ben più lontane – può davvero considerarsi saggia la scelta di lasciare il Parlamento al suo destino?
Come far sapere ai nostri dirigenti che ci sono figure validissime che vogliono e devono poter uscire dall’ombra del loro spessore? Non temano che il tesoro del Pensiero Radicale andrà disperso se solo mancherà la loro supervisione. Arriverà comunque il tempo in cui dovranno passare la mano: lo facciano fin d’ora nei confronti di persone competenti e dal linguaggio non solo logico ma sorvegliato.
Data l’intelligenza di Pannella, non si può dubitare che in cuor suo comprenda il senso di questa riflessione.
L’augurio finale è che le voci di una critica costruttiva per un progetto partecipato non vadano banalmente cassate come quelle di chi punta a processare la vittima, nel nostro caso i Radicali che cercano medicinali per curare la Peste Italiana.
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