di Valter Vecellio, da “Notizie Radicali”, 26-10-2012
Non è la prima volta che dagli ambienti cattolici, e i più autorevoli, si leva la voce di allarme e preoccupazione per quello che accade nelle carceri italiane. L’aveva fatto Giovanni Paolo II nel corso della sua visita a Montecitorio, quando aveva sollecitato un gesto di clemenza; e il Parlamento rispose, sia pure con mille contorcimenti, con l’indulto. Provvedimento cui non seguì, sciaguratamente, nessun’altra riforma; cosìcché il provvedimento servì per l’immediato, ma dopo un paio d’anni tutto tornò come prima, se non peggio: tribunali e uffici giudiziari intasati da mille processi che non finiscono mai; prescrizioni a go-gò anche per reati gravi come l’omicidio; carceri dove si vive in condizioni da vergogna “senza se e senza ma”; innumerevoli condanne da parte della giustizia dell’Unione Europea. E per tutto: basti ricordare che sono solo due, gli istituti di pena che rispettano gli standard della civiltà e della dignità che la legge assicura a una persona: Bollate e Rieti. Gli altri sono tutti tecnicamente fuorilegge.
Movimenti di base come la comunità di Sant’Egidio, ma anche riviste come “Tempi” che fa capo al versante opposto, Comunione e Liberazione, segnalano l’intollerabilità della situazione. E anche i vertici della gerarchia cattolica: un giorno è monsignor Mariano Crociata, segretario della Conferenza Episcopale; un’altra volta è monsignor Domenico Mogavero, vescovo sempre impegnato sul “sociale”; un’altra ancora è l’arcivescovo metropolita di Potenza monsignor Agostino Superbo… Ora è la volta di monsignor Domenico Pompili, che nell’ambito della complessa gerarchia vaticana riveste il ruolo di sottosegretario e portavoce della CEI.
“Dell’amnistia”, dice monsignor Pompili a “Radio Carcere”, “si va parlando da diverso tempo e più di recente la questione è stata sollevata dallo stesso Presidente della Repubblica. Senza dubbio la necessità di una amnistia si impone, per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri e anche per superare le condizioni ambientali spesso insostenibili. Lo Stato certamente deve continuare ad esercitare la giustizia garantendo il bene comune dei cittadini, a cominciare anche dalla loro sicurezza ed incolumità. Però, come ricordava il card. Bagnasco, la vita dei carcerati non è mai una vita a perdere e di qui la necessità di affrontare il nodo della giustizia, in modo tale che la pena possa assolvere al compito medicinale che le è proprio e nello stesso tempo a garantire i cittadini. Ma, come spesso mi è dato di conoscere anche attraverso i cappellani delle carceri, le persone che sono in carcere restano degli uomini che valgono sempre di più rispetto anche alle azioni di cui si sarebbero – e si sono, molte volte – macchiati. Occorre dare la possibilità di un riscatto: così la società dimostra di essere veramente umana e di essere anche superiore a tutte le bassezze di cui si fanno purtroppo interpreti gli umani. L’auspicio è che ci si faccia carico di questo problema, che è un problema certamente complesso, ma probabilmente non rinviabile”.
E veniamo al quotidiano bollettino del dolore e della sofferenza all’interno degli istituti di pena. Da inizio anno 51 detenuti si sono tolti la vita. L’altro giorno, alle 7,30, nel carcere di fiorentino di Sollicciano un nuovo suicidio: un detenuto nato nel 1965, entrato in carcere nel maggio di questo anno, si è suicidato. Era ospite nel reparto assistiti, cioè nel Centro Clinico, persona in osservazione psichiatrica. Ha utilizzato il cavo delle televisione. Quando gli agenti lo hanno trovato l’uomo, in attesa di processo, era ormai senza vita.
Sempre l’altro giorno un altro suicidio, nel carcere di Prato. Era un marocchino di 22 anni: doveva scontare una condanna a tre anni per una rapina compiuta ai danni di un cittadino cinese. Nello stesso carcere, negli ultimi giorni, oltre al detenuto morto suicida, ci sono stati altri cinque tentativi di suicidio ed una rissa tra detenuti. Non più di una settimana fa il direttore dell’istituto penitenziario pratese evidenziava il problema dei tagli alle risorse, del sovraffollamento e della carenza di personale. Tutti i giorni gli operatori, agenti di polizia penitenziaria e personale amministrativo, denunciano che la struttura sta esplodendo. Invano, per ora.
Un altro detenuto suicida a Siracusa; era un italiano, si è tolto la vita nei locali del Nucleo provinciale traduzione e piantonamenti, utilizzando un sacco della spazzatura legato alle inferriate esterne. Mimmo Nicotra, segretario generale dell’OSAPP, uno dei sindacati della polizia penitenziaria, dice:“Non si è potuto contare sul tempestivo intervento della polizia penitenziaria - spiega - perché il detenuto, da circa due mesi, svolgeva attività lavorativa all’esterno delle zone detentive senza la sorveglianza di nessun agente”. Per Nicotra simili episodi sono destinati “inevitabilmente” a ripetersi perché “ormai non c’è più abbastanza personale per assicurare tutti i compiti istituzionali della polizia penitenziaria e la situazione è ancora più drammatica perché mancano circa 1.000 poliziotti penitenziari”.
Altro decesso, a Roma. Lo rende noto il garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: “È morto sotto i ferri, mentre veniva operato d’urgenza al policlinico Umberto I di Roma, per una colicisti perforante. Si tratta del tredicesimo detenuto morto nel Lazio nel 2012. A quanto si appreso l’uomo, Luigi D., 56 anni di Roma, era detenuto nel braccio G 11 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Condannato per furto, doveva uscire dal carcere nel 2013. Ricoverato d’urgenza ieri per ittero è morto nel corso dell’operazione chirurgica che è stata tentata d’urgenza”.
Racconta Marroni: “Nel 2012 i detenuti morti per malattia nel Lazio sono stati tre, quelli per suicidio quattro. Un detenuto è morto per overdose mentre per gli altri tre decessi le cause sono ancora in fase di accertamento. Attualmente nelle carceri della regione sono reclusi 7.136 detenuti a fronte di 4.500 posti disponibili. Nelle carceri si continua a morire – ha detto il garante – ma il dato che maggiormente impressiona è il numero di decessi per malattia. Negli Istituti sono recluse centinaia di persone con quadri clinici estremamente preoccupanti che hanno bisogno di cure ed attenzioni che il carcere non è in grado di dare. Nel Lazio la situazione della sanità penitenziaria è molto delicata, con emergenze quotidiane causate dalla mancanza di personale medico e paramedico, dalla carenza di fondi, da dotazioni tecnologicamente superate e da strutture fatiscenti. E la situazione non fa che peggiorare con l’aumento continuo dei detenuti”.
In questo quadro, dalla mezzanotte di ieri la deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto Irene Testa e altri di noi (Maurizio Bolognetti, Carlo Loi…), hanno iniziato uno sciopero della fame che alterneranno allo sciopero della sete per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia: “Una azione nonviolenta”, dicono, “che proseguirà a oltranza, in risposta alla “resa dallo Stato” di fronte alla bancarotta del sistema giustizia e alla mancanza di Stato di diritto cui si assiste quotidianamente in quelle moderne catacombe che sono diventate le prigioni italiane: per non doverci sentire come quando c’era chi non voleva vedere i campi di sterminio e girava la testa dall’altra parte”.
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