L’Undicesimo congresso di Radicali avrà luogo a Roma, all’hotel Ergife, dal 1 al 4 novembre. Come “Notizie Radicali” abbiamo pensato che poteva essere utile offrire uno spazio di riflessione, confronto e dibattito; e per questo abbiamo chiesto a un certo numero di compagne e compagni di rispondere alla domanda “aperta”: che cosa mi aspetto dal Congresso”, nel senso di: cosa suggerisco, cosa propongo, cosa penso debba essere fatto. E’ evidente che, al di là dell’invito che fatto per poter avviare la riflessione, il dibattito è aperto a chiunque vorrà intervenire. Abbiamo già pubblicato i contributi di Romano Scozzafava, Maurizio Bolognetti (15 aprile); Claudio M.Radaelli (16 aprile); oggi è la volta di Laura Arconti.
Un Radicale nel Consiglio Comunale di Milano, due nel Consiglio Regionale del Lazio; sei Radicali alla Camera dei deputati, tre al Senato: una dozzina di cittadini onesti prestati alle Istituzioni per dare esempi di rettitudine, di operosità, di attenzione al Diritto ed alla legalità. Da un pezzo dicevamo e scrivevamo che il sistema partitocratico aveva ormai permeato di illegalità la vita quotidiana del Paese, che occorreva una rivoluzione nonviolenta capace di sconvolgere i sistemi mafiosi, che i cittadini dovevano ribellarsi, rifiutare il ricatto, pretendere il rispetto della regole. Lo dicevamo nei nostri Congressi, lo dicevamo da “Radio Radicale”, lo scrivevamo nei dossiers, nel libro giallo sulla “peste italiana”: ma perché tutto questo fosse efficace occorreva che fosse noto, mentre il silenzio su di noi e sulle nostre attività andava facendosi ogni giorno più greve, ogni mese più impenetrabile, ogni anno più vischioso. Tutto, abbiamo provato, fin dal giorno in cui quei quattro Radicali sono entrati in Parlamento per la prima volta, rivelando ai cittadini italiani tutto ciò che accadeva a loro insaputa nelle segrete stanze, e indicando con l’esempio comportamenti coerenti al servizio del popolo, della Nazione.
Poi, quando era tempo di referendum, bastava che il capo di uno dei “grossi” partiti (grandi soltanto di numeri) dicesse: «non votate, ci penseremo noi» perché quel popolo – cui avevamo offerto la possibilità di decidere, di farsi legislatore – preferisse alle urne una domenica di mare. E quando era tempo di elezioni, quelli che erano in TV dalla mattina alla sera passavano la parola d’ordine «il voto ai piccoli partiti è sprecato, è un voto inutile»: e bastava questo perché il sussurro dilagasse dovunque, sui giornali, nelle Tribune politiche (una volta c’erano) e poi nei talkshow. E la gente ci credeva, votava sempre gli stessi pachidermi PCI, DC: e quando il PCI trascolorò in nomi democratici , senza mutare metodo e comportamento, quei pochi che si sentivano tanto anarchici e rivoluzionari si sacrificarono votando Rifondazione che era ancora più piccola di noi, ma li colmava di certezze.
Eravamo e siamo tuttora soli, sempre più soli in un deserto di indifferenza, beffati dal confronto con tutti quelli che quotidianamente – su tutti i mezzi di informazione – parlano soltanto di nulla, eppure sono ascoltati: chiedendoci perennemente che altro fare per far conoscere e realizzare il progetto concreto, descritto da tutti i referendum proposti via via nel tempo e tutti vanificati, traditi. Abbiamo imparato a fare i poliziotti, gli investigatori. Siamo andati a controllare tutto ciò che accadeva da anni nel silenzio connivente ed omertoso dei “compagni di merenda” partitocratici. Abbiamo rivelato pubblicamente il gioco delle tre carte, facendo scoprire il trucco; abbiamo scoperchiato pignatte velenose, bidoni di spazzatura umana. E finalmente fu l’uragano: è cominciato nel Consiglio regionale Lombardo, poi è dilagato ovunque, richiamando Magistrati, Commissari di Polizia, Guardia di Finanza, a controllare ciò che era sempre restato nel silenzio. La storia di “mani pulite” (che ha aperto una brillante carriera partitica a Tonino Di Pietro) era una storia di poveri dilettanti, al confronto di quello che sta uscendo ora, un po’ dappertutto nel Paese. Vengono giù dalle istituzioni valanghe di fango, di guano, di acque reflue da un enorme, sconfinato pozzo nero. E in questa situazione i partiti – quelli di sempre, e quelli nati dalla mescolanza di resti di antichi partiti, e quelli che sono nati nel frattempo, e quelli che hanno annunciato la loro fondazione, e quelli che studiano come cambiare nome per continuare a fare le cose di sempre- sono tutti di già in campagna elettorale. Mi guardo intorno, leggo e vedo cose che non riesco a capire, per quanto io mi impegni nell’indagare sulle possibili origini o sui probabili obiettivi di ciò che vedo. Grazie a quel complesso di conoscenze ancestrali e di acquisizioni per esperienza personale, che un tempo si usava definire “buonsenso”, ho sempre trovato una spiegazione ad ogni fatto, ad ogni atteggiamento umano, ad ogni diverso modo di esprimere i propri sentimenti o di nascondere le proprie egoistiche ambizioni: ma ora la sfacciataggine, l’improntitudine, la leggerezza che vedo nel comportamento di persone che si presumono leaders, mi lasciano sconcertata.
Ho guardato ed ascoltato con attenzione Nichi Vendola al Museo Archeologico Virtuale di Ercolano, durante la convention con la quale ha deciso di ufficializzare la sua candidatura alle primarie del centrosinistra. E’ un esempio “di scuola” di come sia possibile allineare parole elegantissime –assaporandole una per una con beato compiacimento prima di emetterle- senza costruire un pensiero finito. Il viso raccolto intorno ai movimenti della bocca, la testa impegnata in movimenti alterni per consentirgli di guardare a destra, a sinistra, al centro con precisione matematica, e poi ancora a sinistra, a destra, al centro dell’uditorio plaudente. I suoi discorsi sono ispirati ad una poetica verbosa, le sue parole sembrano sorseggiate come un vino d’annata. Contenuti? Vicini allo zero.
Di lì a poco vedo ed ascolto Pier Ferdinando Casini, corretto nel vestiario e nel pensiero,la correttezza fatta persona. Con gli occhi spalancati, la fronte a righe orizzontali, l’espressione a tratti attonita, come sbalordita, scandisce le sillabe in un eterno spelling. Parla con calma, senza alterarsi mai, quasi a sottolineare che i suoi pensieri sono così luminosi e coinvolgenti, da dover essere trattati quasi sottovoce. Comunque Casini sottolinea e leviga ogni parola con la puntualità ricorrente del gesto delle mani: insomma,non ha bisogno di dire che per lui la precisione e la puntuale sottolineatura sono una religione, perché lo si intuisce. E’ un po’ ripetitivo, sì, ma così suadente ! Che proposte ha fatto? Praticamente nessuna.
Fra l’uno e l’altro di questi capipopolo, la TV ci ammannisce una professorale conferenza del Premier Mario Monti. Il Presidente del Consiglio non fa un passo senza convocare i giornalisti e spiegare pazientemente ciò che ha fatto nella situazione data, e che cosa si appresta a fare per fronteggiare tale situazione. Il sussurro confidenziale – stile “davanti al caminetto -distende i nervi e placa le proteste. Non manca qualche battuta scherzosa, ma sempre molto raffinata ed elegante: di quelle che “se capisci, bene, altrimenti fa lo stesso”. Sembra molto preoccupato di far capire che lui ed il suo governo lavorano alla luce del sole, non hanno segreti da nascondere: sono professori, abituati a pubblicare l’esito delle loro ricerche e delle azioni che ne conseguono.
Dopo il capo del Governo arriva Roberto Maroni, subentrato ad Umberto Bossi alla guida della Lega Nord. Maroni ha uno stile tutto suo, inimitabile e difficilmente raccontabile: una cantilena urlata, sopra le righe, ma ritmata come un salmodiare da sacrestia, e con le pause al punto giusto per dare spazio agli applausi attesi. Del resto il popolo del Carroccio è generoso di applausi, in particolare per Maroni: attento alle pause, sa quando deve dare inizio alle ovazioni; sembra quasi che sia grato di non sentire più Umberto Bossi, così difficile da capire in difetto di interprete o traduttore simultaneo. Maroni ora èla Lega: e i contenuti? Vicini allo zero.
E poi arriva Pierluigi Bersani: si potrebbe riassumerlo come una condivisione di idee da dopolavoro ferroviario, da CRAL emiliano, ma non sarebbe onesto. L’uomo parla proprio “col cuore in mano”. Grida, si arrabbia, alza il tono di voce sulle parole chiave del suo pensiero, e subito le fa seguire da una pausa brevissima, che non da’ spazio se non alla comprensione completa della parola, per poi riprendere con un tono più basso, quasi confidenziale, che sembra dire “Compagno, su, riflettici, dai … hai capito?” E gesticola non solo con le mani, ma con tutto il corpo, enfatizzando una specie di angosciosa disperazione, come uno che ha proprio paura di non essere capito. Sembra un mago della comunicazione: in realtà lo vedo come un uomo semplice, che si sente a suo agio soltanto in mezzo alla “gente”, stanco di vivere il resto del suo tempo in preda alle litigiosità ed alle irritazioni degli altri che dirigono con lui il suo partito. Contenuti? Tutto quello che lui vorrebbe, e tutto il contrario che vorrebbero quei suoi compagni di partito che provengono dall’estero: insomma, quelli molto legati allo Stato Città d’OltreTevere.
Matteo Renzi: l’estrema attenzione a non compromettersi ma neppure a contraddirsi: il prototipo del linguaggio “non si sa mai”. Si propone alle primarie come leader dei democratici, sembra convinto che sotto la sua guida il PD diventerebbe ben presto partito di governo. Vien voglia di chiedergli: si, ma con quale linea di lavoro, con quale progetto, con quale programma? Quello dettato dalle aspirazioni e dalle speranze dei cittadini, o quello temperato, rimaneggiato, aggiustato dai ricatti di quei dirigenti che “vengono dalla DC” ? Quale garanzia di buon governo e di affidabilità ci fornisce quest’uomo che è stato eletto dai suoi concittadini per reggere il governo della sua città, e invece lascia la sua sede ed il suo lavoro di Sindaco di Firenze per andare in giro a promuovere la propria candidatura alla segreteria del PD e a ripetere ossessivamente che bisogna sostituire politici e parlamentari come fossero vecchie automobili piene di acciacchi?
Tutta questa gente cincischia con gli accordi da cui dovrebbe nascere una nuova legge elettorale “ampiamente condivisa” -come da ammonimento del Presidente Napolitano-ma ha già cominciato a commissionare rilevazioni statistiche sulle intenzioni di voto. Mai che capiscano che certi sondaggisti raccontano a ciascun cliente ciò che a lui fa piacere sentire. e che gli elettori – tenuti all’oscuro della legge in base alla quale dovranno esprimersi ed anche delle eventuali possibili alleanze – dichiareranno l’intenzione di voto senza neppur rifletterci un momento, giusto per dire qualcosa. Chiedete al nostro compagno Romano Scozzafava, che è Professore Ordinario di Calcolo delle Probabilità all’Università di Roma “La Sapienza”, come sono condotti questi “sondaggi” e quanto attendibili essi siano.
Del resto quei leaders, che parlano tanto, non ci rivelano quale programma vorranno perseguire qualora giungano al comando della nave: si tengono sulle generali. C’è quello che un giorno sì e l’altro pure dichiara che tornerà a lavorare perché l’Italia non sia preda dei comunisti, e quell’altro che disprezza profondamente la destra, trattandola da fascista: ma non si tratta di un programma politico, è soltanto un’idea fissa. Qualcuno, in mezzo alle filippiche contro gli avversari, riesce a tirar fuori qualche vago accenno a ciò che si dovrebbe fare in futuro. Per esempio Nichi Vendola qualche idea ce l’ha: “costruire sul lavoro e non sulla truffa” (testuale); sfruttare le ricchezze architettoniche ed archeologiche per dar lavoro e far soldi col turismo; ristrutturare le scuole invece di comprare un aereo da guerra; tutelare meglio il territorio distrutto dallo sfruttamento. Gran bel programma eco-consolatorio. Naturalmente io lo sto esprimendo in modo povero (davvero un proletariato del linguaggio, il mio): Nichi lo arricchisce di iperboli roboanti e di ricami espressivi, elegantissimi (chissà se chi lo applaude ha mai sentito prima d’ora parole così raffinate); ha solo dimenticato di dire «come» fare tutto questo. Temo che non basterà, guardare l’uditorio con lo sguardo intensamente significativo.
Beppe Grillo è molto più primordiale, più bruto: elenca i vizi e i difetti del mondo che lo circonda, urla fino a strozzarsi il suo odio per tutto e tutti, rischia un infarto ogni mezz’ora perché il suo popolo a cinque stelle capisca che lui è indignato, ma proprio tanto indignato ed arrabbiato, e vuole che anche loro lo siano. Io non lo ascolto. Grida troppo. Si arrabbia troppo, un giorno o l’altro offrirà alle cineprese la scena di un tribuno morente per infarto, e io non voglio assistere ad una simile rappresentazione.
Dopo aver assistito alla sfilata di tutti questi personaggi, sento il bisogno di sentire e vedere un Radicale: e, per questo, devo andare su Radio Radicale o sulla sua versione TV. E allora sento voci serene, vedo volti dall’espressione intensa ma quieta, riconosco il metodo: parlare di cose concrete, solide, usando parole tranquille ma significative. Parole dalle quali (Ernesto Rossi esprimeva spesso questo concetto) a batter loro sull’intonaco con le nocche, non arriva rumore di guscio vuoto. Dietro ogni frase di qualunque nostro compagno c’è un pensiero preciso, spesso un progetto nuovo o la condivisione e l’arricchimento di un progetto già in corso. Ho appena ascoltato la riunione del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, fra due settimane si aprirà il Congresso. Basterebbe mettere in fila le iniziative di tutti questi compagni, e – perché no? – cucire insieme i temi dei Referendum vecchi e nuovi, quelli vinti e poi traditi in Parlamento, quelli che non hanno raccolto il numero sufficiente di firme per mancanza di autenticatori, quelli respinti dalla Corte Costituzionale con motivazioni assai dubbie, quelli che non hanno raggiunto il quorum perché gli elettori erano andati al mare … basterebbe questo per descrivere un completo programma di governo, vicino alle necessità dei cittadini, rispettoso della Costituzione, lontano da personalismi e tornaconti.
Tutti quei partiti, partitini ed embrioni di nuovi partiti, i cui leaders hanno così poco da dire sul futuro ed offrono soltanto lamentosi elenchi dei difetti altrui, dimentichi dei propri, potrebbero trovare in casa radicale ciò che manca loro. Noi siamo sempre aperti alla collaborazione, non abbiamo mai rifiutato di mettere a disposizione di tutti le nostre idee e il nostro metodo. Checché ne pensino i denigratori, non siamo mai “andati con altri”, ma abbiamo sempre dato spazio a tutti gli altri che sono stati disposti a fare un tratto di cammino al nostro fianco. Gli otto quesiti referendari su Roma non andranno al voto perché PD, SEL, IdV non hanno aiutato la raccolta delle firme neppure prestandoci qualche autenticatore: abbiamo raggiunto un miracoloso 90% delle firme necessarie con l’aiuto delle persone volonterose, delle associazioni e dei gruppi che hanno partecipato al Comitato promotore. E’ stato un successo, pur non essendo stato sufficiente. Si va avanti: siamo aperti alla collaborazione con questi cittadini che si riconoscono nelle nostre iniziative e nei nostri obiettivi.
Il PD apre le porte a chiunque, salvo noi. Bersani firma con Vendola e un riesumato Nencini (segretario del PSI… ma come, c’è ancora?) la “Carta d’Intenti per l’Italia bene comune”. Di Pietro scrive una lettera per chiedere loro di “non spezzare la sinistra”. Dei Radicali, nessuno fa cenno: non si capisce perché, neppure Emma Bonino riesce a capire di quale delitto saremmo colpevoli agli occhi di tutti questi signori, per essere esclusi anche dal dialogo, per non essere informati del nascere di iniziative che potrebbero essere comuni. Se credono di obbligarci a chiedere, sbagliano: non siamo gente da “cappello in mano”, noi.
Marco Cappato l’ha detto al Comitato, Emma lo aveva detto anche prima, e la mozione generale lo dice chiaramente: la legge elettorale è vergognosa, ma le trattative fra i partiti per cambiarla sono illegali, e rischiano di precipitarci nel caos, perché non è consentito cambiare la legge così a ridosso delle consultazioni; quale che sia la legge con la quale andremo a votare, noi non vogliamo renderci complici delle altrui illegalità. In queste condizioni non rimane, ai ribelli radicali, che presentare proprie liste: ma saranno liste«aperte alle personalità e ai militanti di ogni provenienza politica e civile che si riconoscono negli obiettivi di alternativa radicale, nonviolenta e democratica» come precisa testualmente la mozione. Come nel 1979, apriamo le liste a chiunque accetti il nostro metodo di lavoro e condivida gli obiettivi delle nostre iniziative: offriamo il nostro progetto alla buona volontà di coloro che vogliano essere cittadini, e non sudditi.
Molti anni fa, poiché il Partito Radicale aveva codificato la propria caratteristica di Partito Transnazionale e Transpartitico impegnato a non partecipare ad elezioni in alcun Paese, fu creata la “Lista Pannella” per poter proporre le nostre iniziative al voto dei cittadini. In altri momenti fu “Lista Bonino Pannella” o semplicemente “Lista Bonino”. Il nome di una persona sul simbolo della lista era dettata dalla nostra proposta di legge elettorale col sistema uninominale maggioritario: come sempre, il nostro metodo è poi stato copiato malamente da altri, che hanno invece usato il nome del leader sul simbolo unicamente per fare pubblicità alle proprie mire egocentriche. Nel frattempo proprio costoro, gli scopiazzatori, hanno cominciato a diffondere slogans adatti a fornire un alibi ai cittadini che ci hanno negato il loro voto, pur dichiarandosi d’accordo con le nostre idee e le nostre iniziative: l’invenzione del non averci riconosciuti perché non c’era sul simbolo la parola “Radicali”. Quasi che dire “Pannella” oppure “Bonino” non significasse immediatamente “Radicali”…
Se ne parlerà ancora al Congresso che si celebrerà all’Ergife dal 1° al 4 novembre. Da questo Congresso io mi aspetto che l’orgoglio radicale suggerisca di combattere questa dura battaglia elettorale (benché sia tuttora ignoto su che terreno e con quali “armi” si svolgeranno le operazioni) alzando al vento la bandiera delle nostre più grandi lotte vittoriose, il simbolo della rosa nel pugno con una semplice scritta: Radicali. Conosco bene i miei compagni, sono certa che tutti hanno nel cuore questa speranza. Si tratta soltanto di dirlo chiaramente, senza l’assurdo timore di offendere Emma o Marco:entrambi non hanno bisogno del nome sulla lista, perché sono loro stessi la rappresentazione fisica di tutte le iniziative, le lotte, le battaglie radicali che hanno cambiato volto a questo Paese.
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