Traccia scritta della trasmissione del 25 settembre, ore 6.55, su Radio radicale.
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Appartenente alla Mara 18 |
Inizia oggi, 25 settembre, questo appuntamento con voi, un settimanale di notizie dalla war on drugs, dalla guerra alle droghe, così come fu chiamata da Nixon, che lanciò questo termine nel 1972. In effetti lo slogan originale di Nixon fu war on drug abuse, guerra all'abuso di droga, ma ben presto si trasformò in war on drugs tout court, e con questo nuovo nome fu la prosecuzione di quelle fallimentari strategie che l'amministrazione USA aveva portato avanti fino dal 1914, data dell'Harrison Narcotics Act, una legge che introduceva la tassazione e il controllo di oppiacei e derivati della coca.
Questa settimana ci occuperemo del continente sud e centro americano, dove sono situati i paesi maggiori produttori di coca e di cocaina; l’agenzia ONU per i narcotici stima le produzioni per il 2010 in 410 tonnellate in Colombia, 350 tonnellate in Perù e 110 tonnellate in Bolivia. E qui, nel continente sud e centro americano, è iniziato e si rafforza un movimento che, prendendo spunto dai risultati della campagna war on drugs, risultati fallimentari sia per il mancato raggiungimento dell'obiettivo che per gli effetti secondari, collaterali, indotti, tenta di portare all'attenzione pubblica un cambiamento di paradigma; questa espressione, cambiamento di paradigma, viene usata, fra gli altri, da Cesar Gaviria, ex presidente della Colombia dal 1990 al 1994, che ha rilasciato pochi giorni fa un intervista a El tiempo. Gaviria descrive come "La politica che abbiamo messo in atto fino ad ora ha richiesto un grande sforzo e un costo astronomico. In Colombia ci sono stati 30 anni di una guerra che ci ha dato i capitoli più scioccanti della nostra storia, in termini di sacrificio di vite, di crescita democratica e delle istituzioni, e una ondata di corruzione senza precedenti e di decadimento", e, prosegue, "La chimera delle convenzioni delle Nazioni Unite per costruire un mondo libero dalla droga è un obiettivo lodevole come irraggiungibile. E' bene mettere in chiaro che una politica alternativa rafforzerebbe piuttosto che indebolire le politiche di lotta contro il traffico internazionale di queste sostanze. Colombia e Messico, in particolare, hanno il diritto di richiedere sempre di più delle valutazioni obiettive. Non si può dire che ogni aumento del prezzo della droga sia un grande risultato, o che il successo si misuri in prigionieri, operazioni di polizia o sequestri. Gli indicatori per misurare il successo dovrebbero essere la riduzione della violenza, minor numero di tossicodipendenti, riduzione dei costi, delle imprese e del mercato nero"; e Gaviria conclude l'articolo con queste parole "la Universidad de los Andes ha creato un centro di ricerca per misurare gli effetti delle azioni pubbliche su questo tema. Ora El tiempo ha portato alla nostra attenzione e sta promuovendo il dibattito, che dovrebbe coinvolgere gli educatori, la società civile, genitori, medici e psicologi. La semplificazione fa male. E' ora di smettere di ripetere una tiritera che, come detto Moises Naim, proibisce di pensare".
L'ondata di violenza e corruzione descritta da Gaviria, dopo la Columbia, ha invaso il Messico e altri paesi del continente latino americano, oltre ad essere in espansione anche in Africa, come vedremo in una delle prossime puntate. Un'inchiesta molto recente del giornalista Lorenzo Bagnoli, che si occupa del tema da anni, pone l'attenzione sul fenomeno dei bambini soldato honduregni, 4700 secondo l'ultimo rapporto Unicef, del luglio 2012. Bambini soldato arruolati dalle maras, o marabuntas, che sono gang criminali che traggono profitti in particolare dal trasporto e dalla distribuzione delle droghe illecite; sono attive nelle maggiori città del centro america, Honduras, Guatemala, El Salvador, ma anche nelle periferie di grandi città del nord America. i componenti vengono reclutati da piccoli, dai 6 anni, e l'appartenenza alla mara viene suggellata dal rispetto di un codice di regole dove la violenza e la sopraffazione è il primo comma, oltre che dai tatuaggi che arrivano a ricoprire tutto il corpo. L'addestramento alla violenza o violentizzazione comprende l’uccisione di coetanei, e l’allenamento alla tortura di persone e animali. L’Honduras è attualmente il paese più violento del mondo, con un tasso di omicidi che supera le 80 unità per ogni 100.000 abitanti: per capirci, il famigerato Messico della guerra al narcotraffico mantiene comunque un tasso “ragionevole”, anche se drammaticamente in crescita da 5 anni, di 18 omicidi ogni 100.000 abitanti e solo alcuni stati del Nord come Chihuahua o Sinaloa superano la soglia dei 50. Il Messico comunque, per la sua frontiera in comune con gli SU, rappresenta ancora il paese più caldo per quanto riguarda la violenza e la corruzione legata al narcotraffico; oltre al numero delle morti violente colpisce la efferatezza delle esecuzioni e le modalità; i corpi di appartenenti a bande rivali ma anche di giornalisti e forze dell'ordine più o meno corrotte vengono ritrovati spesso mutilati e torturati; così è del 22 settembre la notizia del ritrovamento, l'ennesimo, di sette corpi decapitati, tagliati a pezzi e bruciati, all'interno di un camioncino nello stato del Michoacan. Nelle ultime settimane, si sono susseguiti nel Michoacan, così come negli altri stati messicani, i macabri ritrovamenti di cadaveri, che secondo le autorità sono il risultato della guerra tra i cartelli della droga delle famiglie locali e dei Caballeros Templarios, i cavalieri Templari, nome che si è data una delle narcoorganizzazioni più forti messicane, attiva in tutto il paese. I conflitti tra le bande e gli scontri con le forze di sicurezza hanno fatto decine di migliaia di vittime dalla fine del 2006 e oltre ottomila cadaveri che non è stato possibile identificare sono stati lasciati in tutto il Messico dallo stesso 2006.
Gli alti tassi di violenza, sempre legati al narcotraffico, hanno indotto il presidente di El Salvador, Mauricio Funes, a tentare un'altra strategia; si è preferito trattare direttamente con le maras servendosi della mediazione della chiesa, e questa trattativa ha prodotto un abbassamento del tasso di omicidi, da 14 morti al giorno a 4, come ci informa Maurizio Stefanini su Limes, in un articolo uscito il 19 settembre. Nell’articolo si dà conto anche della iniziativa del presidente dell’ Uruguay, José Mujica, che ha annunciato la creazione di un monopolio di Stato sulla produzione di canapa con lo scopo dichiarato di ridurre la criminalità; in questo Mujica segue i dettami della Global Commission, un organismo indipendente diretto da Kofi Annan, che indicando i danni collaterali ed il fallimento della war on drugs prefigura la depenalizzazione della coltivazione personale di cannabis come un primo graduale metodo di uscita dalle strategie proibizioniste. Il Congresso di Montevideo, capitale dell’ Uruguay, sta ancora discutendo i particolari, tra i quali l’estensione della coltivazione di Stato, si parla di 150 ettari, e l’ esigenza di impedire che l’Uruguay diventi la meta di un turismo della droga, come è successo, in altro modo, in Europa con l’Olanda. Se la maggioranza di sinistra si è compattata su questa proposta, anche dal centro destra si levano consensi; e del resto il presidente di destra del Guatemala, Otto Perez Molina, aveva parlato di depenalizzazione già nella riunione di Antigua, nel marzo 2012, e durante la sua campagna elettorale. Anche dal Cile arriva notizia di una proposta di legge per la depenalizzazione del consumo e della coltivazione della canapa; il sito di Droga y democracia, una associazione che ha avuto nel suo formarsi il contributo degli stessi 3 ex presidenti, Cardoso, Gaviria Zedillo, ex presidenti rispettivamente del Brasile, Colombia e Messico, che nel 2009 lanciarono un appello per un cambiamento di strategia nella war on drugs, ha pubblicato il progetto di legge presentato in Cile nel giugno di quest’anno, che ha come principale obiettivo di stabilire una delimitazione precisa tra narcotraffico e detenzione e coltivazione ad uso personale, sia terapeutico che ludico.
Mentre numerose sono le voci e il dibattito levati per un cambiamento di politiche, e qui abbiamo riferito non di tutte, ma solo di alcune, la war on drugs prosegue, senza che i vertici dell’agenzia ONU preposta diano segno di intendere il nuovo vento che soffia. El pais del 20 settembre ci informa come la DEA, Agenzia per Droga e narcotici degli SU, abbia intenzione di aprire i suoi uffici in Uruguay; il motivo è l’incremento delle operazioni di narcotraffico messe in atto dalle organizzazioni internazionali sul territorio uruguaiano. C’è quindi bisogno, secondo fonti del ministero degli interni americano, di una rappresentanza stabile della DEA per poter acquisire dati di prima mano e coordinare i lavori con più facilità. La apertura di tali uffici avviene, si fa notare, però, nel momento in cui il governo uruguaiano, come abbiamo visto, sta promuovendo la statalizzazione e la produzione di cannabis, cosa alla quale la DEA è nettamente contraria.
E proseguono, anzi sono in aumento, le operazioni di polizia sbandierate come risolutive nella lotta al narcotraffico; è del 13 settembre la notizia dell’arresto di Jorge Costilla, detto el coss, descritto come il capo del cartello del Golfo e uno dei narcotrafficanti più ricercati del paese, con una taglia di 5 milioni di dollari pendente sul suo capo; la settimana precedente la marina militare messicana aveva arrestato un alto dirigente sempre del cartello del Golfo, Mario Cardenas, detto fatso; la marina militare messicana agisce in stretta collaborazione con gli americani nella lotta ai narcos, gli USA forniscono intelligence e apparati mentre i marinai svolgono il ruolo operativo; Washington ha molto investito sui corpi militari messicani, che pure sono spesso infiltrati dai narcos – e a questo proposito si ricorda che il 24 agosto a Città del Messico una vettura con a bordo due agenti della CIA e un ufficiale della marina messicana è stata attaccata a raffiche di mitra, sparate dalla polizia federale, un incidente con molti lati oscuri.
Ed è di pochi giorni fa l’ aggiornamento sull’inchiesta Fast and Furious, una indagine interna al dipartimento di giustizia americano; l’operazione Fast and Furious, iniziata dall’FBI durante l’amministrazione Bush e proseguita con quella Obama aveva lo scopo di identificare i leader dei cartelli dei narcos messicani presenti negli Stati uniti, e per questo l’FBI aveva accettato di far transitare tra Stati uniti e Messico armi acquistate illegalmente, per poi seguirne il percorso e risalire ai capi dell’organizzazione, una strategia chiamata gun walking che però ha mostrato numerose falle, visto che migliaia di armi sono scomparse senza lasciare traccia. L’inchiesta aveva preso inizio dall’uccisone di un agente dell’FBI in Messico nel 2010; sul luogo dell’imboscata erano state ritrovate due delle armi cosiddette perse, che, secondo le indagini, sarebbero almeno 2000. L’operazione Fast and furious si è conclusa nel 2011 con numerosi arresti ma senza mai arrivare ai capi dei cartelli come era nelle intenzioni dichiarate.
Il 23 settembre è uscito un articolo, firmato anche questo da Lorenzo Bagnoli, dove si racconta l’accordo tra Juan Manuel Barragán, un alto generale dell'Esercito messicano responsabile del personale al ministero della Difesa, assoldato dal boss del cartello di Sinaloa con un compenso di 10 milioni di dollari per trattare un "patto segreto" con Guillermo Galvan, il segretario generale del ministero della Difesa, Marisela Morales, la responsabile della procura federale, e il vicecapo operativo dello Stato Maggiore, Genaro Robles Le manette sono state immediate per il generale di brigata, in cella dallo scorso 30 gennaio. Ma solo oggi la procura ha disegnato i particolari delle trame che legavano Barragán al superboss del narcotraffico. Barragán doveva interrompere le missioni nel nord ovest del Paese e la persecuzione ai danni del leader del cartello. E in Venezuela, sempre in settembre, è stato arrestato Daniel Barrera, detto el loco, anche lui descritto come uno dei più ricercati narcotrafficanti colombiani; alla cattura hanno partecipato le autorità locali ma anche la CIA e l’intelligence britannica; el loco è il terzo signore colombiano a finire in carcere negli ultimi dodici mesi, prima di lui a giugno era toccato a Diego Perez Henao, e a novembre a Maximilian Bonilla Orozco, entrambi arrestati in Venezuela ed entrambi portatori di una taglia da 5 milioni di dollari. Appare evidente come però queste sbandierate operazioni, anche quando riescono a raggiungere i vertici, non portino sostanziali cambiamenti nel mercato illegale di droga e in quelli, di armi e di esseri umani, a questo legati; per ogni arrestato sono in molti a spingere per prenderne il posto, e l’investimento economico profuso non si traduce in una effettiva riduzione dei traffici.
La settimana prossima ci sposteremo nel continente asiatico e prenderemo in esame le notizie provenienti da quei paesi, che sono al centro della produzione del papavero da oppio e dell’eroina. La traccia di questo notiziario in forma scritta sarà disponibile da oggi sul blog antiproibizionistiradicali.blogspot.com; grazie per questo spazio a RR e al suo direttore Paolo Martini. Ciao a tutti e buona giornata all’ascolto di RR.
http://antiproibizionistiradicali.blogspot.com/2012/09/notizie-dal-fronte-di-guerra-alle-droghe.html
25 Settembre, 2012 - 15:23
Fonte: http://antiproibizionistiradicali.blogspot.com/2012/09/notizie-dal-fronte-di-guerra-alle-droghe.html [4]