di Annalisa Chirico pubblicato su Il Giornale, il 26/04/12
Per descrivere Marco Pannella bastano alcune righe scritte di suo pugno nel lontano 1973. Tagliare anche solo una parola sarebbe un delitto. «Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica.
«La prima marcia contemplava sia l’indulto che l’amnistia. Alla fine si fece solo l’indulto nel 2006, e in base a sondaggi non smentiti oggi sappiamo che il tasso di recidiva per chi beneficiò di quella misura è stato pari al 33,6%, che è meno della metà della recidiva ordinaria che supera il 68%. Rispetto ad allora è cambiato semplicemente il fatto che oggi chiediamo l’amnistia».
«Rispondo: non dite stronzate. L’amnistia è già una riforma di struttura. Se sul penale avessero 500mila procedimenti pendenti anziché 5 milioni, saremmo già un altro Paese, sarebbe tutta un’altra storia. Con l’amnistia si libererebbero enormi energie finanziarie, logistiche, organizzative, che consentirebbero all’Italia di stare meglio di ogni altro Paese in Europa quanto a potenziale rapidità dei processi».
«Le nostre priorità sono quelle obbedienti alla storia radicale, ai nostri referendum: separazione delle carriere, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, riforma del Csm. Noi vogliamo riformare la giustizia attraverso la riattivazione del diritto. Guardi, nell’Italia fascista la legalità era abbastanza infame ma era rispettata. Qui non è rispettata nessuna legalità, né quella antifascista né quella fascista. Senza l’amnistia questo Paese finirà con le cose che aborro, i piazzale Loreto e la caccia alle streghe».
«Sa tutto come avvocato ma non capisce nulla di giustizia. La Severino è questo».
«Non credo. Per noi non ha mai smesso di essere la priorità assoluta della nostra vita da trenta, quarant’anni».
«Certo che no. Quello che accade è il frutto di trent’anni di antidemocrazia dei “democratici” di destra e di sinistra».
«Se lo chiede a lui, ancora non lo sa».
«Io dico che è perfino vero. Ho accusato pubblicamente una parte della magistratura lombarda con base a Milano di un disegno ignobilmente piccolo per accelerare i tempi del passaggio al potere da Berlusconi non tanto ad Alfano – che nessuno sapeva che c’era – quanto al vergine Formigoni. Per cui la magistratura ha dispiegato tutte le sue forze contro il puttaniere, passando magari giorno e notte con le puttane, mentre dinanzi al vergine Formigoni, dinanzi allo spergiuro e traditore della propria parola, si è limitata ad assegnare un solo magistrato.
«Io per ora continuo a essere il figlio discolo e di “una mignotta” della baracca, da quello non possono dimettermi. Non ho mai avuto poteri formali né statutari».
«Se è così però mi chiedo: perché non lo fanno anche gli altri? Perché non lo fa anche Bersani? E invece lui non lo fa, poveretto…»
«Come ho scritto, la prima cosa che farei sarebbe dimettermi perché, se il Paese mi eleggesse democraticamente, vorrebbe dire che non ha più bisogno di me».
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