di Silvio Pergameno, da “Agenzia Radicale”, 15-04-2012
L’insensibilità che ogni giorno i maggiori partiti palesano sul crinale del finanziamento pubblico che essi si ostinano a difendere senza cedimenti, può rivelarsi un cedimento rischioso per la democrazia italiana. Nell’opinione pubblica la democrazia si compendia infatti nel sistema dei partiti che la impersonano e la gestiscono e assai meno nei meccanismi istituzionali che la garantiscono.
Ne è una prova l’accoglienza riservata in ampi strati dell’opinione pubblica alla formazione del governo Monti, che non ha certo configurato violazione di precetti costituzionali, ma ha altrettanto sicuramente rappresentato un alto là alla protervia dei partiti, con ampia soddisfazione nella cittadinanza.
Il fatto quindi che ora i partiti si ostinino a difendere l’indifendibile finanziamento pubblico che essi si sono attribuito è destinato a provocare reazioni rilevanti, soprattutto per la circostanza che il malaffare, del quale giorno dopo giorno le manifestazioni diventano sempre più cospicue, si affianca ai sacrifici che la popolazione deve affrontare per affrontare la crisi economica e finanziaria che ha colpito i paesi europei.
Le reazioni di stampo qualunquistico a questo stato di cose, va da sé, non rappresentano in alcun modo una risposta al problema ed è per questo che la proposta di promuovere un nuovo referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti, se ha il pregio di convogliare in un alveo costituzionale la protesta profonda che sale dal basso, presenta anche molti interrogativi.
La vicenda del referendum nel nostro panorama politico – istituzionale è altamente significativa. Lo ha previsto la costituzione proprio nel testo originario, ma esso era rimasto nel limbo delle buone intenzioni ed è venuto concretamente in essere soltanto per un errore di valutazione della Democrazia Cristiana, dopo l’ istituzione del divorzio (il paese reale lo avrebbe cancellato): calcolo nettamente errato, come sappiamo.
Ma poi la reazione dei partiti e delle stesse istituzioni fu decisa. La Corte costituzionale ha cercato di porre tutti i paletti che si potevano escogitare per frenare l’ammissibilità del referendum e i partiti per cancellarne gli esiti o per evitare le consultazioni: restano clamorosi l’intervento sulla chiusura dei manicomi per evitare il referendum che era stato promosso e il ripristino del finanziamento dei partiti sotto forma di rimborso delle spese elettorali dopo il referendum che lo aveva abrogato.
Nessun dubbio che oggi un nuovo referendum in materia riscuoterebbe un’accoglienza entusiastica nell’elettorato, a parte ogni questione sull’ammissibilità che pur potrebbe forse presentarsi e a parte il fatto che, come è già successo, si troverebbe certamente qualche strada per finanziare i partiti.
Ma la faccenda va esaminata tenendo presenti varie considerazioni. Il finanziamento pubblico dei partiti non è proprio soltanto del nostro paese e fa parte delle convinzioni fondamentali delle socialdemocrazie. Con lo scandalismo qualunquistico non si va da nessuna parte, perché il problema dell’abrogazione del finanziamento va discusso muovendo non dalle deviazioni, ma nella sua legittimità democratica.
Di fatto poi esso si articola ormai in un groviglio di interessi che non è facile dipanare e che rappresenta una componente essenziale della crisi della democrazia italiana, come democrazia non tanto di partiti – perché non sembra possa esistere una democrazia moderna senza partiti – ma dei partiti, cioè con partiti onnipresenti e onnivori e di una società civile ampiamente assente sul terreno della sensibilità politica.
Esiste cioè il rischio che soluzioni apparentemente radicali finiscano, in un modo o nell’altro, per rivelarsi delle non soluzioni. I partiti maggiori stanno oggi manifestando comportamenti ampiamente suicidi, per il rischio che l’astensionismo elettorale si manifesti con ampiezza castrante e con una presenza alle urne caratterizzata da una connotazione clientelare determinante, perché non si può dimenticare che ampia parte, troppo ampia parte della nazione campa di politica, cioè di redditi legati alla mediazione dei partiti.
Al di là delle incazzature si troverà allora la via della ragione? Sarebbe indispensabile, ma c’è da dubitare, perché anche qualche modesta proposta timidamente ventilata è subito passata a miglior vita.
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