
di Valter Vecellio
Libero, 13 aprile 2012
Correva l’anno 2006. Il 29 settembre, per l’esattezza. Il luogo: Ruvo del Monte, comune, informano i manuali di geografia, in provincia di Potenza, “situato a 638 metri sul livello del mare, nella zona Nord Occidentale della Basilicata, ai confini con l’Irpinia”.
A Ruvo del Monte vivono circa milleduecento persone; è da credere si conoscano tutti. E più di tutti, i locali carabinieri, che con il locale sacerdote, evidentemente sono a conoscenza di tutto quello che accade, si fa, si dice. Dovrebbero, si suppone, anche conoscere due fratelli gemelli, Domenico e Sebastiano. Dovrebbero conoscerli bene, perché in paese non deve certo essere sfuggito il fatto che patiscono gravi ritardi mentali.
Quando il 29 settembre del 2006 i carabinieri, frugando nella casa dei due fratelli trovano una rivoltella, hanno evidentemente fatto il loro dovere, sequestrando la. Ed è quello che prescrive la legge, quando viene redatto un rapporto che riassume l’accusa in un paio di righe: “Detenzione illegale di arma”.
I carabinieri si suppone conoscano le armi; se sostengono che si tratta di una pistola fabbricata prima del 1890, si suppone sappiano quello che dicono. E cosa si fa, in casi del genere? Si istruisce un processo; un processo per detenzione di arma illegale che si conclude nel 2012. La sentenza: “Non luogo a procedere”. E come mai, nel 2006 la detenzione illegale di arma sei anni dopo diventa “non luogo a procedere”?
Come mai, nei fatti e in concreto, il giudice di Melfi assolve pienamente i due fratelli? Perché la pistola non è una pistola; perché non si può detenere illegalmente un’arma che non è un’arma. Perché la pistola che si diceva “fabbricata prima del 1890” in realtà è una pistola giocattolo. I due fratelli l’avevano detto con tutto il fiato che avevano in gola: “Non è un’arma, è un giocattolo”.
Niente da fare. “Detenzione di arma illegale”. Bastava guardarla, quell’”arma illegale”: “Si vedeva subito che era finta, con quella foggia bizzarra che ricalca quelle strette alla cintura dei conquistadores spagnoli del ‘500”. Per i carabinieri era “un’arma illegale”. I carabinieri come mai erano entrati a casa dei due fratelli?
Cercavano oggetti sacri rubati al cimitero del paese. Qui si può immaginare la scena: chi può introdursi in un cimitero per rubare? Degli spostati. E in paese, tutti lo sanno, i due fratelli con la testa non ci sono del tutto. Allora andiamo da loro. Si bussa alla porta, loro aprono. “Si può?”. “Prego, accomodatevi”. Ecco. E lì, in bella vista “l’arma illegale”. Subito in caserma, per l’interrogatorio di rito.
Poi l’avviso di garanzia. Passano i giorni, le settimane e i mesi, e arriva l’imputazione: articolo 687 del codice di procedura penale, che punisce appunto la detenzione illegale di armi: dai tre ai dodici mesi, 371 euro di ammenda. Si chiudono le indagini preliminari, c’è il rinvio a giudizio. Finalmente qualcuno pensa di rivolgersi a un perito. Naturalmente è l’avvocato dei due fratelli, non ci pensano né i carabinieri né il Pubblico Ministero. Racconta l’avvocato: “All’apertura della busta contenente la presunta arma idonea a offendere, presenti io, il giudice e il perito tutto si è risolto in una risata. Non c’è stato nemmeno bisogno di una analisi approfondita: una colata unica, un simulacro da bancarella”.
http://www.detenutoignoto.com/2012/04/giustizia-sei-anni-di-indagini-per.html
14 Aprile, 2012 - 10:18
Fonte: http://www.detenutoignoto.com/2012/04/giustizia-sei-anni-di-indagini-per.html [4]