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La Sicilia, 3 aprile 2012
Da ieri i colloqui dei familiari con i detenuti al carcere di Cavadonna non sono più un'odissea. È stato avviato un nuovo servizio di call-center a cui i parenti possono rivolgersi per prenotare le visite. E già ieri, per il primo giorno, le linee telefoniche del nuovo servizio sono state bollenti. "Sapevamo che così avremmo aiutato sia i detenuti sia i loro parenti, ma non immaginavamo tanto successo sin dal primo giorno", commenta il direttore della casa circondariale di Cavadonna Angela Gianì, promotrice del progetto.
"Da tempo ci lavoravo, vedendo le difficoltà delle persone - racconta la dirigente -. Ma le difficoltà economiche note a tutti, le restrizioni finanziarie non mi permettevano di poter avviare il servizio. Così ho iniziato a bussare a varie porte, ma senza ottenere i fondi necessari".
Gli ostacoli però non hanno fermato la direttrice del carcere. "Non si poteva essere indifferenti ai disagi dei detenuti e delle loro famiglie, era come aggiungere sofferenza a sofferenza. pensavamo di essere arrivati al punto di svolta con il Comune che si era reso disponibile a cofinanziare il progetto, ma una parte doveva essere a carico dell'Amministrazione penitenziaria. E siccome le nostre risorse sono irrisorie abbiamo dovuto rinunciare".
E poi è comparso il Lions club Eurialo, che si è offerto di farsi carico delle spese. "Ho saputo da un'operatrice della struttura del progetto e delle difficoltà economiche - racconta il presidente del club service Umberto Rubera. Ne ho parlato con i soci e tutti hanno dato l'assenso. E così mi sono messo in contatto la Angela Gianì ed è stato dato il via". Il call-center, che conta su operatori volontari, offre la possibilità di prenotazione e i familiari non sono più costretti a file di ore e con qualsiasi condizione meteo, ma devono presentarsi a Cavadonna solo 3/4 d'ora prima dell'orario fissato telefonicamente per l'incontro, per la registrazione d'obbligo.
Quello del call-center non è l'unico sostegno che il Lions Eurialo intende offrire alla struttura penitenziaria. "Abbiamo aperto una finestra sul carcere - conclude l'avv. Rubera -. Ci sono storie umane bellissime che vogliamo far uscire dalle mura di Cavadonna. Vogliamo essere vicini, compatibilmente alle nostre possibilità". Dal suo canto Angela Gianì ha in serbo altri servizi a comfort dei familiari: "A breve contiamo di aprire anche un chiosco. Insomma volgiamo fare quanto possibile per alleviare la sofferenza".
Attese lunghe e inutili... lo sfogo di un padre
Esordisce così un padre anziano, che fino a non molto tempo fa doveva fronteggiare settimanalmente una sorte di tour-de-force per riuscire a vedere il figlio, detenuto nella casa circondariale di Cavadonna. Vincenzo Cavaleri ricorda oggi l'esperienza vissuta, traendo un profondo sospiro di sollievo. Suo figlio ora è a casa, ma non è un uomo libero: tra le mura domestiche sconta la misura restrittiva. Ma quando era all'interno della struttura penitenziaria, Vincenzo non si sottraeva alle difficoltà che imponeva la possibilità di visita, affrontandole con lo spirito che solo un padre può avere. E con lui la moglie, anziana anche lei, ma determinata come il marito a incontrare il figlio, per stargli vicino, per rincuorarlo, per dargli qualche carezza. "Era una corsa contro il tempo. Dovevamo arrivare entro le 11, altrimenti non ce l'avremmo fatta con i tempi a registrarci per ottenere il colloquio. E la nostra stessa condizione era vissuta dagli altri familiari". È così che i parenti, pur di riuscire a ottenere il colloquio, si affollavano già all'alba davanti la cancellata d'ingresso. Con qualsiasi condizione climatica. "Che ci fossero 40 gradi all'ombra o piovesse a dirotto, nessuno di noi rinunciava all'interminabile coda. Anche se eravamo sotto un riparo, piuttosto grande, si trattava di una tettoia che riparava dalla pioggia ma non dal caldo o dal freddo". E non sempre le ore di coda venivano premiate: per carenza dell'organico di polizia penitenziaria poteva anche accadere che saltasse il turno d'incontro, obbligando a un triste rientro a casa, chi con la macchina, chi con il bus messo a disposizione dei parenti (una corsa ogni ora dalle 7 fino alle 16).
"Anche questo non bastava a scoraggiarci. Chi desisterebbe dal vedere il proprio caro? Lì non c'eravamo solo genitori, ma anche mogli incinte e bambini, tutti aspettando che arrivasse il nostro turno. C'era chi si organizzava con conoscenti, affidando i propri documenti d'identità (per la registrazione propedeutica al colloquio) piuttosto che mettersi in coda e fare ancora più massa sotto il riparo". Tutto questo entro le 16. Poi battenti chiusi.
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Fonte: http://www.detenutoignoto.com/2012/04/carcere-siracusa-attivato-call-center.html [7]