Di Diego Menegon
Agli occhi di paesi come Russia e Cina, Internet è simile ad una gallina da spennare e un cane randagio da addomesticare. Ne è una prova il tentativo, che si consumerà tra il 27 febbraio e il prossimo dicembre, di assoggettare la rete ad un più rigido controllo dei governi nazionali riuniti attorno alla ITU [3], la International Telecommunication Union, un’organizzazione istituita da un trattato internazionale sotto l’egida dell’ONU.
Nel 1991 il governo degli Stati Uniti approva l’ High performance computing Act, la legge che apre all’iniziativa privata la possibilità di estendere e sfruttare a fini commerciali la rete internet, fino ad allora strumento nella disponibilità dei soli ambienti militari e della ricerca.
Da quando Internet è stato affidato al libero mercato, è cresciuto e ha fatto crescere il mondo. Tra il 1995 e il 2011 gli utenti sono passati da 16 milioni a 2 miliardi. Ogni giorno milioni di persone usano internet per lavorare, studiare, comunicare, comprare e vendere beni e servizi.
Una ricerca condotta nel 2011 stima che in Italia internet contribuisca al pil nella misura di circa il 2% all’anno [4]. Ma questa stima è con ogni probabilità conservativa e non tiene conto dei risparmi di denaro e di tempo conseguenti alla maggiore facilità che ogni singolo utente ottiene prenotando un biglietto del treno sul web anziché dover prendere l’auto per andare in stazione oppure, cercando informazioni su google anziché in libreria etc.
Questo motore dell’economia funziona e per questo la proposta di consentire alle compagnie telefoniche, che in molti paesi sono monopoli o incumbent pubblici, di far pagare il traffico internet internazionale trova largo consenso in paesi come India, Cina, Brasile e Russia. Tassare, di fatto, le connessioni con l’esterosarebbe un modo per far cassa a breve termine (salvo rallentare l’economia nel medio e lungo periodo), ma anche un modo per frenare la circolazione delle idee, spesso pericolose, per le dittature.
La facilità con cui esuli e blogger riescono a twittare, postare, scrivere, massaggiare, far sentire la propria voce oltre i confini nazionali è una delle più pure espressioni di libertà, che solo il mercato può garantire, e dunque una minaccia tra le più gravi per la sopravvivenza dei regimi autoritari.
La primavera araba ha lasciato il segno. Ecco quindi che i governi di Mosca e Pechino sono pronti a far passare in nome della sicurezza e della privacy nuove norme internazionali che sottomettano internet al controllo di un’organizzazione intergovernativa.
Il maggior peso politico che questi paesi stanno assumendo sulla scena internazionale mostra qualchecrepa nei disegni mondiali di liberaldemocrazia. Ai negoziati sarà discussa, scrive Robert McDowell [3], membro della Federal Communications Commission sul Wall Street Journal, la proposta di imporre una regolazione più rigida, un controllo sulla International Engineering Task Force, la Internet Society e gli organismi di natura privatistica e a partecipazione diffusa che oggi fissano gli standard tecnici che fanno funzionare la rete. Potrebbero cadere nelle mani di un’organizzazione internazionale presidiata dai governi nazionali anche le funzioni svolte oggi dall’Internet Corporation fo Assigned Names and Numbers, l’organizzazione privata che assegna i domini .org e .com. In nome della privacy, si intende consentire ai governi di schedare chi si esprime su internet allestendo un proprio sito internet.
In difesa della libertà di internet, si sono espresse molte personalità, tra cui Vint Cerf (Google), che dichiara [5]di aver firmato una petizione perché non crede che i governi dovrebbero potersi regalare un monopolio sulla governance della rete.
Gli stati hanno rimosso i lacci che stringevano a sé internet nei primi anni Novanta. Per due decadi il libero mercato ha esaltato le potenzialità della rete rivoluzionando l’economia e i modi di vivere di centinaia di milioni di persone. Oggi, a vent’anni di distanza, migliorata la qualità della vita di buona parte della popolazione mondiale, alcuni stati vorrebbero riunirsi per statalizzare la ricchezza creata da internet riconducendo la rete al controllo pubblico.
Ma così, le Internet Technologies, ormai penetrate nella quotidianità delle persone, rischiano un’involuzione che avrebbe effetti più dirompenti delle crisi finanziaria.
Fonte Libertiamo [6]
Fonte: http://www.agoradigitale.org/russia-e-cina-vogliono-mettere-le-mani-su-internet-attraverso-l-onu [7]