Da “Cronache di Napoli” 05-02-2011
Gli psicolgi penitenziari si autodenunciano: “siamo inadempienti”, i continui tagli e l’aumento esponenziale dei reclusi ha ridotto le prestazioni a “pochi secondi al mese per ogni detenuto”. Il non potere osservare i cambiamenti della personalita’ dei reclusi impedisce alla Magistratura di sorveglianza di valutare la pericolosita’ sociale dell’individuo e limita, di conseguenza, la concessione delle misure alternative alimentando il sovraffollamento. In una lunga lettera al ministro della Giustizia, Severino, gli psicologi chiedono di essere ascoltati per “trovare insieme le piu’ opportune soluzioni, finalizzate a ridare alla psicologia penitenziaria sostanza, ed a realizzare finalmente un servizio funzionale ai diritti di salute e riabilitazione agli utenti il cui rispetto e’ legata la sicurezza nel qui ed ora all’interno degli istituti e, in prospettiva, dopo la detenzione, quando le persone verranno restituite alla societa’”. Ci troviamo in una situazione ormai divenuta intollerabile – scrivono – da una parte la pressione (con il rischio concreto di ritorsioni) degli utenti i quali giustamente, l’osservazione che gli necessita per avere i benefici previsti dalla legge e che non possiamo garantire, dall’altra le richieste, altrettanto legittime, della Magistratura di Sorveglianza che rimarca la nostra inadempienza”. Dal momento che “non e’ piu’ possibile assicurare un numero di prestazioni tali da garantire un livello minimo di assistenza, molti di noi si chiedono – conclude la lettera firmata da PAOLA GIANNELLI segr. nazionale della Societa’ Italiana Psicologia Penitenziaria – se abbia un senso la nostra presenza, se non da un punto di vista solo formale”.
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