Di Andrea Spinelli Barrile, da www.agenziaradicale.com [3], 02-02-2012
La notizia è clamorosa e fa ribaltare il detto scripta manent: la Campania è una delle regioni italiane più virtuose relativamente alla produzione di rifiuti urbani pro-capite; ogni campano produce mediamente 468kg di rifiuti all’anno e sull’intero territorio campano non esiste una sola discarica per rifiuti industriali. Nella diatriba post-risorgimentale nord-sud, i “polentoni” lombardi producono 518kg l’anno pro-capite di rifiuti e, sull’intero territorio della Regione Lombardia, gli impianti di trattamento, stoccaggio e smaltimento per rifiuti industriali sono ben 43. Ma non si tratta di un clamoroso colpo di coda del Sud, non è la rivalsa definitiva sui cugini meneghini, sul Nord Italia tutto: sembrerebbe, carte alla mano, che un ciclo virtuoso di riduzione “a monte” dei rifiuti sia possibile e, cosa ancor più incredibile, sia possibile in Campania; una fotografia cartacea che non rappresenta in alcun modo la realtà. Qualche giorno fa è stato presentato a Napoli uno studio di benchmarking in materia di rifiuti che confronta le cinque regioni più grandi d’Italia e racconta, con dati di Osservasalute 2011, una realtà complessa, dove nulla è come sembra.
Nonostante i numeri che parrebbero “inequivocabili” la Campania è una terra avvelenata dai rifiuti e dalla malapolitica, dalle emergenze infinite e dal malaffare camorristico che sui rifiuti lucra ed ingrassa; un esempio lampante sono gli impianti di bruciatura, i cosiddetti termovalorizzatori. Il documento dimostra l’inutilità di nuovi impianti in Campania, nonostante il Piano Regionale preveda la realizzazione di 3 termovalorizzatori e di un gassificatore, perchè fondamentalmente l’impianto di Acerra basta e avanza: oggi in Campania si bruciano 100kg pro-capite di rifiuti, solo ad Acerra si incenerisce più che in tutti gli otto impianti presenti in Toscana e poco meno che in Emilia Romagna.
E’ il principio che è sbagliato: a fronte di una produzione totale di rifiuti solidi urbani di 2,4 milioni di tonnellate l’anno (dato 2011) la Regione prevede di incenerirle, con gli impianti previsti nel Piano, fino a 2 milioni di tonnellate; la quota che ne resterebbe fuori, effettivamente risibile, va in discarica: una “raccolta differenziata” che prevede l’incenerimento dell’85% del totale dei rifiuti. Una virtuosità burlesque: la bruciatura degli RSU è causa di emissioni di diossina (inceneritore di Trieste sequestrato nel 2007), metalli pesanti (l‘inceneritore Fenice inquina da 10 anni il Vulture con il beneplacito della Regione Basilicata e dell’Arpab), il pericolosissimo NOx; inoltre, le normative sulle emissioni sono ferme al 2005. Come se non bastasse, incenerire i rifiuti costa perchè l’impianto di bruciatura ha una temperatura minima da mantenere e, per questo, necessita costantemente di ingurgitare monnezza: un enorme e bulimico mostro ecologico che non si ferma mai. Tutto questo porta ad una serie di domande da porsi, come fa Antonio Marfella (autore dello studio): dove vanno a finire oggi i 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti industriali campani? Dove andranno a finire domani?
E le ecoballe buttate lungo l’autostrada? E gli impianti di compostaggio per l’umido, per produrre compost agricolo e scongiurare la formazione di percolato avvelenatore di falde? E gli impianti di pre-trattamento degli RSU (obbligatorio sia pre-incenerimento che pre-conferimento in discarica), dove sono nel Piano Regionale? E, in ultimo: se partono così tante navi per l’Olanda, l’impianto di Acerra come si alimenta?
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