di Paolo Macry, da “il Corriere del Mezzogiorno”, 22-01-2012
Capiremo meglio, nei prossimi giorni, come e quanto le liberalizzazioni del governo possano incidere sul Mezzogiorno. Ma di certo molto dipenderà dalle risposte che lo stesso Mezzogiorno — individui, gruppi sociali, forze politiche — darà alle nuove regole. Enclave storicamente depressa, il Sud è ancora oggi un territorio orfano del classico modello di sviluppo occidentale. Avrebbe bisogno di più mercato, istituzioni efficienti e leggere, un’intermediazione politica meno invasiva. Dovrebbe mirare a una crescita economica robusta e non statalista. Ed è proprio in questa direzione che va il decreto. Pur con le timidezze imposte a Monti dalla Grosse Koalition che lo sostiene, i provvedimenti su energia, professioni, giustizia, eccetera intendono sollecitare la mano invisibile del mercato. Palazzo Chigi scommette sullo sviluppo e sulla libera iniziativa. Quasi un’eresia, in tempi di ideologie della decrescita alla Latouche odi capitalismo statalista alla Hu Jintao. Nè la lenzuolata dei professori dimentica il Mezzogiorno, come indica, per esempio, l’importante sblocco dei miliardi del Cipe. Del resto non è a Sud, ma semmai al Nord che prosperano le corporazioni e i poteri forti (cautamente) presidi mira dal decreto.
C’è da sperare dunque che, soprattutto al di qua del Garigliano, le opportunità siano colte al volo, che lo startup a costo zero proposto ai giovani diventi realtà, che i paletti agli ordini professionali permettano un adeguamento dei loro servizi al minor costo della vita di questi territori, che si registri qualche beneficio nel mercato usuraio delle Rca, qui particolarmente intollerabile. E la speranza non è astratta. Chi per mestiere frequenta i giovani universitari, sa bene quali e quante risorse intellettuali esistano, anche a Napoli, che avrebbero soltanto bisogno di essere liberate dalla giungla di nepotismi, raccomandazioni, favori. Ma le prime risposte sono contraddittorie. Da una parte, come nel resto del paese, l’opinione pubblica meridionale sembra consapevole del momento difficile e non manca di apprezzare gli sforzi di Monti. Dall’altra, emerge la tentazione di gruppi e partiti di soffiare sul fuoco della crisi, per difendere i propri interessi di corpo o per lucrare un po’ di voti, riesumando il solito rivendicazionismo sudista. E i segnali di fuoco, malauguratamente, si moltiplicano. Si va dai «forconi» siciliani, che preoccupano per una certa protervia territoriale non certo nuova nell’isola, alle aspre reazioni dei professionisti napoletani, tanto più discutibili in una città strozzata dalla disoccupazione giovanile. Ma va segnatala anche l’intemperanza dei tassisti cittadini o l’attacco dei centri sociali a Pietro Ichino, un piccolo episodio che segnala il paradosso di chi difende un mercato del lavoro vecchio e ingiusto, pur essendone la vittima principale. Quanto alle forze politiche, ci sarà da capire fino a che punto facciano sul serio coloro che oggi tendono a presentarsi come l’opposizione meridionale e militante al governo: i Vendola, gli Emiliano, la Fiom di Pomigliano, Luigi de Magistris. Com’è spesso capitato nella storia italiana, il loro massimalismo promette di dare filo da torcere alla sinistra riformista. E difficilmente gioverà al Sud. Piuttosto, rischia di fargli perdere l’occasione della libertà economica, sia pure quella in pillole di Mario Monti.
Condividi [3]