di Peppino Caldarola, da www.linkiesta.it [3], 22-10-2011
Pannella e Grillo sono tornati ad essere i nuovi “mostri” del centro-sinistra. Il primo per aver spinto i suoi deputati a partecipare al voto (e dando la sfiducia) nell’ultimo redde rationem fallito contro Berlusconi. Il secondo per i suoi successi elettorali che in Molise, come già in Piemonte, hanno impedito al centro-sinistra di vincere. Sono molto lontano politicamente dai due, ma trovo l’accusa francamente bizzarra. I radicali da sempre rappresentano l’anima corsara della politica italiana. Sono fuori dagli schemi, hanno impostato battaglie di opinione pubblica epiche, dal divorzio all’aborto alla pena di morte, quest’ultima venne fatta propria da D’Alema ministro degli esteri. Il loro bacino elettorale è ristretto, esplosero una volta sola con un voto massiccio per Emma Bonino, la loro capacità di influenza è enorme. Pannella non ama farsi registrare in alcun elenco di partito. La disinvoltura con cui ha cambiato alleanze è pari solo alla determinazione con cui conduce le sue battaglie civili. Con lui è prendere o lasciare. Veltroni prese e nelle ultime elezioni preferì i radicali e Di Pietro alla sinistra di Vendola e ai socialisti di Boselli. Chiedere ai radicali disciplina di schieramento è come svuotare il mare con un cucchiaino. Non è possibile. Il loro elettore non si considera né di sinistra né di destra ma semplicemente radicale in perenne polemica con gli altri partiti con cui pure imbastisce alleanze elettorali. Si fa fatica a capire dove vogliano andare i radicali. Sono ultraliberisti, occidentalissmi, anti-casta malgrado abbiamo alla guida il duo più vecchio della nomenklatura italiana. La loro presenza nell’alleanza urtica i cattolici di centro-sinistra, il rischio che vadano con Berlusconi agita il sonno dei dirigenti del Pd alla ricerca di ogni voto che possa favorire l’uscita di scena del premier. Messe così le cose, c’è poco da far filosofia. O si patteggia con loro o li si lascia andare. Terzium non datur.
Grillo è un fenomeno più recente e probabilmente quello che avrà più futuro. Grillo ha intercettato gli incazzati che è la generazione precedente a quella degli indignati e più radicale di quest’ultima. Per quanto lo si voglia cancellare dalla sinistra molte sue battaglie fanno parte dell’album di famiglia. È ecologista, contrario ai partiti-macchina, per la democrazia diretta. Raccoglie voti e ha trasformato un movimento politico in una produttiva impresa mediatico-culturale. È anche lui un irriducibile. Le gente che lo segue viene in gran parte dal non voto, ma non sono pochi gli elettori di sinistra affascinati dai suoi “vaffa”. Attorno a lui ci sono solo giovani e nessun vecchio arnese della politica. Anzi le sue più recenti intemerate hanno riguardato nell’ordine Santoro, De Magistris, Padellaro e Colombo. “Italia oggi”, quotidiano solitamente ben informato, scrive oggi che Grillo potrebbe presentarsi come candidato sindaco di Genova. Può vincere ed io lo voterei. I grillini sono presenti in massa in regioni un tempo presidiate dalla sinistra, come l’Emilia e Romagna, e il successo molisano fa pensare che un eventuale sbarco al Sud potrebbe fare un big bang più rumoroso di quello del paludato Matteo Renzi. Il centro-sinistra e in particolare il Pd lo patiscono e gli chiedono, come fosse facile, di annullarsi per non intralciare l’irresistibile ascesa di Bersani e compagnia bella.
Invece bisogna farsene una ragione. Nelle democrazie occidentali spesso esplodono movimenti di opinione che catalizzano molti voti e che spesso impediscono al fronte progressista di vincere. È accaduto negli Usa, la Linke e i Verdi fanno dannare l’Spd in Germania, i Verdi e talvolta i troztchisti disturbano il Pd in Francia. Un atteggiamento serio è quello di cercare di capire che cosa vogliono gli elettori che seguono questi gruppi estemporanei per cercare di catturarli. A nessuno verrebbe in mente invece di chiedere loro di suicidarsi in nome di leadership che disconoscono. Invece in Italia avanza questa strana pretesa. Una sinistra immobile e immutabile chiede ai radicali e ai grillini di sparire per consentire a Giovanna Melandri o a Emilio Quartiani continuare a fare il deputato. Capite bene che c’è qualcosa che non va in questo ragionamento. Non va soprattutto il tema di fondo. Una sinistra riformista dovrebbe contare sulle proprie forze, che vuol dire idee e protagonisti in grado di catalizzare la maggior parte dei consensi. Una sinistra radicale che si rispetti ha tanta più forza persuasiva quanto più riesce a fare a meno dei voti dell’ala più irriducibile senza essere costretta a pasticci come quelli dell’Unione che elevò e affossò Romano Prodi. Una sinistra riformista insomma dovrebbe dire alle eventuali avances dei radicali “no grazie, faccio da sola”. Per far questo ha bisogno di un progetto, di leader credibili e soprattutto di assoluta integrità morale. Deve essere indiscutibile sul piano dei programmi, delle facce nuove e nell’orizzonte etico-politico. Questo piagnisteo per cui ci si lamenta di Grillo e poi gli si chiede di non partecipare alla partita è abbastanza penoso. Lui c’è, ha un suo ruolo e raccoglie una domanda di politica. Gli altri devono dimostrare di sapere fare a meno di lui, non buttandolo fuori dal campo o blandendolo o ricattandolo con lamenti poco dignitosi ma dimostrando di esser più forti e fascinosi. Quasi un’impresa impossibile.
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