di Irene Testa (Presidente Associazione "Il Detenuto Ignoto")
Notizie Radicali, 14 settembre 2011
Sicuramente il precedente del magistrato di sorveglianza di Lecce, Luigi Tarantino, che per la prima volta in Italia riconosce a un detenuto la violazione di spazi minimi entro i quali scontare la pena nella sua cella, non arriva “dal cielo” sulla giurisprudenza italiana che dovrebbe regolare i termini di permanenza di ogni detenuto nelle carceri, giacché il magistrato applica la legge e chiaramente non se la può inventare, ma al limite le interpretazioni che ne fa riescono spesso “inedite”.
In realtà non credo sia questo il caso, quanto forse interpretazioni “originali” di ciò che è prescritto in maniera stringente nell’ordinamento penitenziario (e non solo) circa quantità, conformazione e qualità degli spazi intramurari entro cui i detenuti scontano la propria pena, si sono fin troppo spesso avute finora dagli altri colleghi del dottor Tarantino, a motivazione del rigetto delle istanze presentate via via dai rispettivi legali, quando le presentano.
È la prova tangibile di quanto si va denunciando da anni e di quanto ha ricordato da ultimo anche il Presidente della Repubblica nel corso del convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, promosso dal PRNTT sotto il suo l’Alto patronato, che parla di un “abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona”. A conclusioni analoghe e coincidenti era già arrivata anche la richiamata azione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) con la sentenza, due anni fa, con la quale condannava l’Italia a un risarcimento nei confronti del cittadino bosniaco Izet Sulejmanovic, per danni morali subiti a fronte di una detenzione in Italia in spazi giudicati troppo angusti e non rispondenti ai termini di legge.
Nel caso leccese di questi giorni, semplicemente il magistrato Tarantino ha ritenuto di intervenire giustamente prima di un eventuale ricorso alla Cedu (che ricordo, può agire solo in seguito all’esaurimento dell’iter di tutti i gradi di giudizio previsti dalle legislazioni nazionali) da parte dei legali, dando ragione al detenuto dei danni patiti per violazione degli spazi e delle condizioni prescritte dall’ordinamento penitenziario.
È certo un precedente da salutare con estremo favore, pur ricordando però che per una volta è accaduto ciò che dovrebbe invece essere la norma e che ci auguriamo (ma sappiamo essere purtroppo differente) sia sempre prontamente riconosciuto a ogni detenuto che ne faccia motivata istanza, visto che, girando per le carceri italiane di oggi, sovraffollate oltre lo stremo, non è certo raro e anzi sempre più frequente, incontrare detenuti “vittime della terza branda”, che oltre a dormire a 50 cm dal soffitto della propria cella, spesso rovinano di sotto nel cuore della notte riportando traumi e lesioni anche importanti, che oltretutto in carcere non sempre (o quasi mai) riescono a essere trattate opportunamente. Finché addirittura l’anno scorso a Sanremo, una caduta dalla terza branda allestita nella cella dove era detenuto, è stata fatale per un detenuto italiano.
Ma a riguardo, anche le parole del segretario della Uil-Pa penitenziari Eugenio Sarno, che ha parlato di una tragedia annunciata perché “quando si insiste nell’ammassare persone in spazi incompatibili con la dignità e la vivibilità, quando ci si ostina a volere determinare condizioni inumane di detenzione, non possono non capitare certe cose” e che “è noto a tutti che i letti a castello con tre piani sono potenzialmente pericolosi”, non sembrano aver scalfito la dura corazza serafica ancora indossata dal Dap e da ancora troppe direzioni penitenziarie in Italia di fronte a una sempre più immane tragedia, innanzitutto di legalità. Tant’è che le terze brande continuano a dilagare in molte celle, e secondo loro, evidentemente, va ancora bene che i detenuti, come anche avviene in altri istituti, non si vedano costretti a ricavare il proprio giaciglio sul nudo pavimento, senza neanche un materasso, anche se da lì almeno non si casca.
A fronte del perdurare dello stato conclamato di illegalità diffusa e di sovraffollamento illegale delle prigioni italiane, tornano alla mente le recenti decisioni che si sono avute invece da parte della Corte Costituzionale tedesca e dalla Corte Suprema statunitense contro lo Stato della California, che impongono rispettivamente ai carceri tedeschi di non accettare detenuti oltre la soglia legale di capienza della struttura e la liberazione di circa 38 mila detenuti dalle strutture californiane, e, in parallelo, la dura lotta nonviolenta in corso da mesi da parte di Marco Pannella, Rita Bernardini e di noi Radicali assieme a migliaia di cittadini perché il Parlamento italiano possa al più presto discutere il problema e affrontare la responsabilità a nostro avviso necessaria e urgente di un provvedimento di amnistia. Nel frattempo ben vengano le azioni e le istanze di risarcimento che ogni singolo detenuto può, attraverso i propri legali, promuovere contro l’amministrazione penitenziaria qualora siano violati, per esempio ma non solo, i 7 metri quadri minimi di spazio previsti dalle norme per ogni singolo detenuto.
Gli “opercoli” legali forniti dai precedenti del caso Sulejmanovic alla Cedu e dalle disposizioni del giudice Tarantino oggi, sembrano tracciare finalmente la via attraverso cui aver finalmente ragione della cappa di illegalità che attanaglia l’espiazione della pena in Italia, anche se questo, ci si rende conto, si dovrà scontrare con il numero e il carico di lavoro di ogni singolo magistrato di sorveglianza, che sono come altri servizi intramurari drammaticamente sottodimensionati rispetto alle reali esigenze, e potrà comportare un aumento di spesa che potrebbe diventare non indifferente in sanzioni e rimborsi da parte delle casse pubbliche, un motivo in più per sostenere l’improcrastinabilità di una riforma della giustizia che passi attraverso efficaci misure deflative delle carceri e da una amnistia.
Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2011/09/giustizia-detenuto-risarcito-una.html [3]