Ieri sera gli insorti libici che fanno capo al National Transitional Council [3] sono entrati a Tripoli, incontrando una debole resistenza. Secondo le ultime notizie disponibili [4], controllano la maggior parte della città e tutto lascia pensare che già nelle prossime ore potrebbero completare la conquista della capitale. Si pone quindi, a partire da oggi, il problema del futuro della Libia. Fare previsioni in questo campo è sempre molto difficile, ma i fatti degli ultimi mesi possono darci qualche indicazione utile in questo senso. Parlo solo degli ultimi mesi, perché per decenni questo paese è stato un oggetto misterioso, a causa del ferreo controllo del governo sull'informazione. Sapevamo che non si svolgevano elezioni, sapevamo che l'economia ruotava intorno alle esportazioni di gas e petrolio, sapevamo che la classe media era composta in prevalenza da funzionari dell'ampia burocrazia statale e sapevamo che Internet era molto poco diffuso. Qualcosa filtrava anche a proposito delle violazioni dei diritti umani e della persecuzione della minoranza berbera (su questo blog [5] ci siamo occupati, ad esempio, della vicenda di Madghis Buzakhar [6]), ma poco altro. Giudicando sulla base di queste scarse notizie, tutte vere, il futuro della Libia appariva cupo: non sembrava cioè che potesse esistere una classe dirigente alternativa al regime al potere. Difficile immaginare una rivolta, ancor più difficile pensare a un dopo Gheddafi che non fosse segnato da sanguinose guerre civili.
I fatti degli ultimi mesi hanno però smentito queste fosche previsioni: come avevamo anticipato, sempre su questo blog ('La rabbia e l'immigrazione [7]'), il 17 febbraio la popolazione libica si è sollevata contro Gheddafi, seguendo il modello di Tunisia ed Egitto. Non solo, gli insorti sono stati capaci di mobilitare l'intera popolazione e di portare avanti la loro lotta per sei mesi, pur tra mille difficoltà. Abbiamo assistito inoltre a un utilizzo creativo e imprevedibile della rete per aggirare la censura (v. 'Libya's 'Love revolution': Muslim Dating Site Seeds Protest [8]'). Ma la cosa più interessante per provare a indovinare i prossimi sviluppi è osservare il modo in cui il National Transitional Council è riuscito a costituire in pochi giorni un governo provvisorio capace di gestire la guerra e di mantenere l'ordine nella città di Bengasi e in tutta la regione della Cirenaica (v. 'Libya rebels isolate Gaddafi, seizing cities and oilfields [9]', ma anche 'Benghazi blues [10]'). Abbiamo infatti scoperto che esisteva un ceto di professionisti, soprattutto giudici e avvocati, pronti a governare con il consenso dei loro concittadini. Possiamo quindi noi, e possono soprattutto i libici, dormire sonni tranquilli? Purtroppo no: se il rischio peggiore, quello dell'anarchia, sembra almeno per il momento scongiurato, costruire o ricostruire istituzioni solide è un lavoro lungo, faticoso e dall'esito sempre incerto. Più preoccupante ancora è il fatto che la Libia si trova in un'area geografica politicamente molto instabile, stretta com'è tra Tunisia ed Egitto, e questo non può che influire negativamente sulle sue prospettive.
Una cosa è però certa: come europei non possiamo ignorare quanto sta succedendo in questi giorni a pochi chilometri dalle nostre coste. Storia, geografia e almeno tre questioni politiche chiave (immigrazione, energia, terrorismo) ci legano indissolubilmente agli abitanti del Nord Africa, arabi e berberi. In mancanza di un governo europeo e di una politica estera comune, tocca ora alle singole nazioni muoversi in ordine sparso e anche in questo caso, come per la crisi economica globale, si vedono bene tutti i limiti di un'Europa divisa, mentre per il momento possiamo solo immaginare le opportunità di cui godremmo con la federazione continentale che da sempre i radicali auspicano.
www.radicalisenzafissadimora.org
Fonte: http://www.radicalisenzafissadimora.org/2011/08/la-caduta-di-tripoli-il-futuro-della.html [11]