Di Angiolo Bandinaeeli, da “Notizie Radicali”, 08-07-2011
Si può approvare o meno, si può sostenere o meno l’iniziativa nonviolenta che Marco Pannella ha in corso, ma dal mio punto di vista ritengo essenziale interrogarsi anche sulle ragioni teoriche – cioè di vera e propria teoria politica – che la sorreggono. Con immediatezza pragmatica, Pannella ama richiamarsi al Sathyagraha gandhiano. Il richiamo è efficace, non mi appare però adeguato sul piano rigorosamente teorico (teorico, non astratto). Il principio, la prassi stessa dell’iniziativa diretta nonviolenta hanno una radice ben più profonda, perché implicano un giudizio rigoroso sul rapporto tra l’individuo, il soggetto, e lo Stato. Gandhi agitò la nonviolenza come arma di facile comprensione presso le grandi masse analfabete dell’India del tempo, ma non ne fece, credo, il pilastro di una specifica sintesi politica e del rapporto individuo/Stato. Chi elaborò questo fondamentale concetto fu invece Henry David Thoreau (1817-1862), che ne fornì una esplicita analisi nelle poche pagine di un pamphlet in cui raccolse una “lecture” tenuta a Concord, nel Massachusetts, nel 1848 (in curiosa, ma forse comprensibile, coincidenza con le grandi rivolte europee e italiane che segnarono la fine ideale della Restaurazione): “Resistance to Civil Government”.
Subito nella prima riga appare una sorta di massima, destinata ad una fortuna straordinaria fino ai nostri giorni: “Il governo migliore è quello che governa meno”. Subito dopo, un corollario piuttosto stupefacente: “’Il miglior governo è quello che non governa affatto’ e non appena gli uomini saranno pronti, sarà questo il governo che avranno”.
Thoreau non vuole essere definito un “anarchico”, vuole però, subito, un governo “migliore”, che non punti esclusivamente sulla legge della maggioranza (la quale governa perché è “fisicamente più forte”) ma sulla “coscienza”: dove sta scritto che il cittadino debba “sempre rimettere la propria coscienza a quella del legislatore” solo perché questi parla a nome della maggioranza? E poi: “Non c’è da augurarsi che l’uomo nutra rispetto per la legge, ma che sia devoto a ciò che è giusto”. Thoreau arriva addirittura ad affermare che “proprio a causa del rispetto delle leggi perfino gli uomini di buoni principi si trasformano quotidianamente in agenti di ingiustizia”. Siamo all’esatto opposto di Thomas Hobbes, il padre della teoria dello Stato assoluto quale venne plasmato nelle nazioni europee dal XVI secolo in poi: “Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudine così unita in una persona viene chiamata uno Stato, in latino ‘civitas’. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto (…) di quel Dio mortale al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa…” Non potremmo avere due formulazioni più divergenti e distanti. E se Hobbes ha dominato a lungo la scena politico-culturale, fino alle degenerazioni dello Stato etico, è indubbio che ai nostri tempi sia invece Thoreau ad ispirare, direttamente o meno, eventi capitali, fino alla recentissima “primavera araba”.
Tra Thoureau e Hobbes c’è una gamma di personaggi che hanno dato contributi di rilievo al pensiero politico, da Rousseau a Montesquieu, da Locke a Kant, Hegel e Benjamin Constant. Possiamo collocarli, in una scala molto precisa, dal meno al più liberale. Il meno liberale è certamente Rousseau, che sulla “maggioranza” esprime idee opposte al pensatore americano, il più liberale è probabilmente Constant. Il secolo scorso ha conosciuto le degenerazioni totalitarie europee, ma anche l’antistatalismo dei neoconservatori americani. Tuttavia, il più grande tentativo di mettere in atto le idee di Thorerau si ebbe con l’esplosione dei movimenti per i diritti civili nell’America dei primi anni ‘60. Quei movimenti riemergevano a rivalutare, dopo oltre mezzo secolo di dimenticanza, l’importantissima stagione che vide, nella Londra di fine ottocento, la nascita del socialismo umanitario. Questo movimento, poco noto e sopratutto molto snobbato, venne poi sconfitto dal marxismo dilagante, lasciandoci in eredità ideale la Fabian Society, la London School of Economics e una sotterranea cultura umanistica e libertaria, su cui si era plasmato anche il giovane Gandhi studente a Londra (la sua nonviolenza nasce in quell’ambiente lì, dove si veniva scoprendo, con occhio occidentale, la cultura indiana, nonviolenza compresa).
Pur riconoscendone il valore, l’iniziativa non-violenta, l’azione diretta, ecc, se non si oppongono certamente si distinguono dal liberalismo nel suo tradizionale e consolidato significato teorico. Per il liberalismo, l’individuo può determinare gli indirizzi e le scelte dello Stato solo attraverso il metodo legalitario e parlamentare. La nonviolenza, l’individualismo di Thoreau si contrappongono allo Stato in un confronto diretto, non mediato, sempre pronti a pagare di persona: Thoreau andò in galera per non aver corrisposto una tassa – a suo avviso – ingiusta.
Condividi [3]Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=3955 [4]