Giovanni Sabbatucci da “Il Mattino” 06-07-2011
La chiamiamo “emergenza carceri”, ma la definizione non è corretta. Da anni, anzi da decenni, il sistema giudiziario italiano produce un numero di detenuti largamente superiore a quello che il sistema penitenziario sarebbe in grado di assorbire secondo gli standard di un paese civile. Si tratta dunque di uno squilibrio strutturale, già oggi abnorme (il rapporto fra presenze effettive e posti disponibili è attualmente di circa tre a due, ovvero c’è un terzo di detenuti in eccedenza rispetto agli spazi) e destinato ad aggravarsi in mancanza di interventi efficaci. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: il sovraffollamento, soprattutto quando riguarda edifici vecchi e fatiscenti, non comporta solo deterioramento delle condizioni igieniche.
Ma comporta anche promiscuità, degrado morale, violenza agìta e subìta, una sequenza impressionante di suicidi (l’incidenza fra la popolazione carceraria è venti volte superiore alla media nazionale) e non poche morti sospette. Inutile aggiungere che tutto ciò non ha nulla a che fare con la funzione che la moderna civiltà giuridica europea assegna all’istituto del carcere: anche a voler considerare utopico il dettato costituzionale che parla di “rieducazione del condannato”, non si dovrebbe mai dimenticare che la privazione della libertà è una pena grave in sé, e in quanto tale non va caricata di inasprimenti impropri, di accanimenti oggettivamente persecutori. È difficile trovare oggi in Italia un politico che non sia disposto a sottoscrivere concetti così ovvi sulla carta. Ma è ancora più difficile, purtroppo, trovarne qualcuno che sia disposto a battersi per inserire la questione carceraria in posizione di rilievo nella propria agenda. Marco Pannella (per la cronaca, ancora in sciopero della fame) e i radicali rappresentano ovviamente l’eccezione. E alla loro ostinata mobilitazione si devono i rari e momentanei sussulti di interesse nei confronti del problema da parte di un ceto politico complessivamente distratto, vuoi perché affaccendato in tutt’altre faccende, vuoi perché poco propenso a impegnarsi in battaglie che si presumono impopolari. Ma distratto è anche il grosso dell’opinione pubblica, che preferisce voltare la testa da un’altra parte, come se la questione toccasse solo una maggioranza di delinquenti e una esigua minoranza di malcapitati, vittime di carcerazioni inutili o di errori giudiziari. Dovremmo invece sapere tutti che non è così. Le condizioni delle carceri non sono solo – secondo la celeberrima definizione di Cesare Beccaria – la misura del livello di civiltà di un paese. Sono anche lo specchio di un sistema giudiziario che funziona male e il cui malfunzionamento riguarda tutti noi, comprese le fedine penali immacolate. Basti un dato, forse il più inquietante fra i molti che si possono citare: dei quasi 70.000 ospiti delle carceri italiane, circa 30.000 (oltre il 40%) sono detenuti in attesa di giudizio, dunque presunti innocenti, quasi la metà dei quali destinati a essere assolti in primo grado. Questo semplice dato dovrebbe suggerire che per risolvere la impropriamente detta “emergenza carceraria”, non c’è solo l’alternativa secca fra una rapida amnistia (misura impopolare ma probabilmente ineludibile a scadenza non lontana) e la costruzione di nuove carceri (provvedimento anch’esso comunque necessario, ma non praticabile nei tempi brevi, anche a causa delle ristrettezze finanziarie). Un serio contributo al decongestionamento potrebbe venire da un uso più umano e più selettivo della carcerazione preventiva, troppo spesso impropriamente utilizzata come mezzo di pressione per ottenere la confessione dell’imputato. Altra strada da battere è, per i condannati in via definitiva, quella delle pene alternative, soprattutto per i reati minori di non particolare allarme sociale. Questo significa processi brevi, sentenze rapide, sanzioni equilibrate e per quanto possibile certe, inversione dell’attuale andazzo che vede l’imputato scontare il grosso della pena prima della condanna e non a seguito di essa: in altri termini, riforma della giustizia in base ai modelli delle democrazie più avanzate. Difficile che ci si arrivi finché l’opposizione si lascerà condizionare dalle pulsioni giustizialiste di una parte del suo elettorato e finché la maggioranza sarà impegnata nel compito, evidentemente prioritario, di risolvere le grane giudiziarie del suo leader
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Fonte: http://www.perlagrandenapoli.org/?p=3941 [4]